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IL MONDO DEGLI SCHüTZEN

DIE SCHüTZENWELT

 

"Uomini e genti Trentine durante le invasioni napoleoniche  1796 - 1810"

di prof. mons. Lorenzo Dalponte - Edizioni Bernardo Clesio Trento anno 1984

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6) I bersaglieri Tirolesi - a) l'origine

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I Bersaglieri Tirolesi - l'origine

Per meglio comprendere le forme e il tipo di lotta che le popolazioni tirolesi opposero fin dall'inizio all'invasore e per un' esplora­zione più ampia e a più possibile completa degli avvenimenti che caratterizzano questo periodo storico, occorre ricordare che fin dal 1511 vigeva nelle terre di tutto il Tirolo una convenzione militare, sottoscritta dall'Imperatore d'Austria Massimiliano I d'Asburgo, dai quattro «stati» della dieta tirolese (Nobili proprietari di terre ­ Prelati dei grandi monasteri come possessori terrieri – Città - ­Rappresentanti del mondo contadino), e dai due Vescovi Principi di Bressanone e di Trento. Nel testo - il cosiddetto Landlibell 1511, Libello dell'Undici - l'Imperatore «prometteva per se e per i suoi successori» di non cominciare nessuna guerra senza il consenso delle parti, e che gli impegni militari di queste avrebbero riguardato soltanto la difesa del territorio del Tirolo, mai fuori di esso, e «per un mese solamente». In caso di aggressione al territorio tirolese poteva venir proclamata la leva in massa, impegnando gradualmente dai 1.000 fino ai 20.000 combattenti. Se necessitava dare l'allarme, di giorno si suonavano di paese in paese le campane e di notte si accendevano fuochi sui monti.

Il Libello non prevedeva un esercito stabile e parlava di una confederazione di difesa nei momenti di pericolo. In una mobilitazione di 5.000 uomini, 1.800 spettavano alla nobiltà e al clero, 2.000 alle città e ai distretti rurali, 500 alla Valle Pusteria e numeri minori ad altri centri. Per ogni fante la Dieta si accollava la spesa di 4 Fiorini al mese, e 30 Kreuzer o carantani il Principe del Tirolo, cioè l'Imperatore o un suo familiare, per armamento e sostentamento. Ma già nell' anno 1605 venivano emanate nuove e più precise disposizioni che fissavano il numero dei combattenti per ogni distretto. Con una leva di 10.000 fanti, 677 spettavano alle valli di Non e di Sole, 861 alle Giudicarie, 600 alla Valle Lagarina, 390 alla città di Trento. Le comunità dovevano provvedere agli elenchi dei combattenti e alloro addestramento, che non consisteva tanto in esercitazioni paramilitari, ma nel prendere dimestichezza nell'uso dell' archibugio. In ogni comune, nel corso dei decenni seguenti, fu scelto un luogo chiamato «bersaglio», dove nelle domeniche tra S. Giorgio e S. Martino i giovani iscritti si allenavano al tiro sparando almeno 60 colpi all'anno. Era per loro motivo di orgoglio appartenere al gruppo dei bersaglieri ed avere per Patrono un glorioso tribuno delle guardie pretoriane, il martire S. Sebastiano.

Durante la guerra dei Trent'anni (1618-1648), e precisamente nel giugno e luglio 1632, le prestazioni dei bersaglieri furono determinanti nel respingere le truppe svedesi, fino allora vittoriose in Germania, che volevano penetrare nel Tirolo. In quell'epoca molti reparti restarono in linea fino a sei mesi. Si comprese tuttavia che con il prolungarsi della guerra era necessario disporre di un esercito più stabile. Con un decreto del 1636, fu creata a difesa dei confini una milizia territoriale, divisa in quattro reggimenti, ciascuno di dieci compagnie da 200 fanti, in servizio attivo per tre anni. 11 primo, di 1891 uomini, era Formato unicamente da Trentini.

Grazie alla presenza e all' azione di questi reparti furono risparmiati al Tirolo gli orrori di quella guerra trentennale che causò nel centro Europa una tale devastazione che ci vollero due secoli alle future generazioni per riaversi dalle dolorose conseguenze

La mobilitazione dei bersaglieri «miliziati» si rinnova anche du­rante la guerra di successione spagnola (1701-1714), che oppose la Francia all'Austria e travolse nel suo vortice il Trentino occidentale. Allora, un primo tentativo dei Francesi di sbarcare a Riva e a Torbole (30 dicembre 1702) venne annullato dalla coraggiosa opposizione del militare presente e degli abitanti. Nel luglio del 1703 il maresciallo Francese Luigi Giuseppe di Vendome, con 20.000 soldati, divisi in tre colonne, attraverso le Giudicarie, la Val di Ledro e lungo il Monte Baldo in Val Lagarina, cerca di raggiungere Trento e aprirsi la strada verso il Nord, per incontrarsi con l'esercito alleato dei Bavaresi. Ma mentre questi venivano respinti a Vipiteno e ricacciati oltre il Brennero dalle compagnie dei Tiroler Schützen accorse dalla Pusteria, dalla Venosta e dalla Bassa Atesina, anche l'esercito francese, implacabilmente molestato sui fianchi dai bersaglieri trentini, dovette ripiegare verso Spormaggiore e Mezzolombardo e attestarsi tra Sardagna e Piedicastelio. II Generale fece bombardare la città di Trento per dieci giorni ma non osò assalirla.

Da allora in poi e particolarmente durante la guerra di successione polacca (1733-1738), combattuta non in Polonia ma in Italia, il Governo del Tirolo avverti la necessità di concordare una difesa adatta ai tempi e alle mutate circostanze e di avere una truppa più stabile. Fu costituito un primo regolare battaglione, “Tiroler Landbatallion” di volontari tirolesi, che nel 1 745, ingrandito nei quadri, divenne un Landregiment.

Comunque il principio che la Confederazione tirolese non era tenuta costituzionalmente a nessun obbligo militare verso l'Impero Asburgico ma solo alla difesa dei propri confini, venne riaffermato anche nella guerra di successione austriaca (1740-1748), allorché l'Imperatrice - Maria Teresa fu costretta a difendere l'esistenza della sua Casa contro la Baviera, la Prussia di Federico II e la Francia di Luigi XV. Maria Teresa, come Contessa del Tirolo, non chiese al Parlamento di Innsbruck e ai due Principati di Trento e Bolzano un contributo in combattenti ma in denaro: chiese 140.000 Fiorini e ne ricevette 80.000 “per devozione”, e null'altro.

Quando Giuseppe II d'Asburgo, succeduto a Maria Teresa d'Austria, volle introdurre nel 1778 anche nel Tirolo il servizio militare obbligatorio, perche tale era in tutti gli Stati della monarchia danubiana, l'opposizione della nazione tirolese fu fortissima. Il Tirolese, pur avendo familiarità con le armi ed usandole con vanto, avvertiva una profonda antipatia per la disciplina militare, voleva sentirsi uomo libero. L'Imperatore desistette dal suo piano. Accetto pero in cambio l'offerta, in caso di guerra, d'un corpo di volontari da impegnarsi anche fuori dei confini. Tale corpo, chiamato “Feldjager”,  “Cacciatori militari”, partecipò alle lotte della guerra di successione bavarese del 1778, poi alla guerra contro la Turchia del 1788 ed infine anche nella prima coalizione antifrancese (1793) sui campi di battaglia olandesi

Alla vigilia delle invasioni francesi la difesa del Principato di Trento sotto il profilo militare contemplava la presenza di reparti dell' esercito imperiale e della milizia territoriale e l'eventuale mobilitazione delle compagnie dei bersaglieri. II Principe Vescovo non aveva una forza armata; disponeva di otto guardie, chiamate col nome generico di “suzzi”, dal tedesco Schützen, che vestivano “un'uniforme di lana bianca con risvolti rossi, berretto innalzato con stemma vescovile sul davanti”. Altre venti guardie circa controlla­vano la casa di correzione di Trento e gli ergastoli della Rocca di Riva e del Castello di Pergine. In ogni vicariato c'era un pretore per l' amministrazione giudiziaria, da cui dipendeva un presidio “di due birri e un cavaler”, loro comandante, per l'osservanza e l' applicazione delle sentenze.

Gli affari militari del Principato erano nelle mani del Conte del Tirolo secondo il Libello dell'Undici, cioè dell'Imperatore d'Austria, o meglio e più esattamente, del Governatore del Tirolo da lui nominato. Questi disponeva nelle città e nei borghi di un esercito territoriale di 2-3.000 fanti, con qualche punta fino a 5.000 in momenti eccezionali, più che altro con funzioni di controllo dell'ordine pubblico. Provenivano dai vari “stati”, ma siccome vigeva la tradizione che il richiamato poteva farsi sostituire da “un mercenario”, pagandolo, le categorie più abbienti erano meno presenti tra questi territoriali, mentre erano più numerosi i contadini perche più poveri o più propensi a passare un periodo «al soldo» della nazione.

In periodi di pace l'obbligo del servizio militare resta più volte sulla carta, sostituito da una contribuzione. Per se, era previsto che il contributo in danaro fosse occasionale, da versarsi quando c' era un pericolo di guerra ed il Governo doveva provvedere alla difesa. Ne deriva un diritto acquisito, tanto che verso la fine del diciottesimo secolo il Governo incassava dal Principato Vescovile di Trento circa 150 Fiorini annui per ogni fante non richiamato. Tale somma sara pure versata dalle comunità delle valli dopo il passaggio del Principato alla Casa d' Austria.

Nel 1796, ciò che per lungo tempo era restato solo una supposizione stava per diventare tragica realtà: la guerra si avvicinava realmente ai confini tirolesi ed era pertanto necessario salvaguardarne la difesa.

In simile frangente, contro un' azione aggressiva dall'esterno, la nazione tirolese faceva assegnamento sulla presenza delle truppe im­periali e sulla mobilitazione dei suoi bersaglieri, molto meno sui «milizioti». Questi ultimi non vanno assolutamente confusi con le compagnie dei bersaglieri. Anche durante il periodo delle invasioni na­poleoniche i «milizioti» facevano parte di un corpo regolare di territoriali che operavano all'interno della provincia come “milizia urbana o milizia civica”, alle dirette dipendenze del Governo provinciale. Ricevevano da questo un compenso giornaliero di mezzo fiorino, al quale le comunità aggiungevano di solito la somma per l' acquisto della divisa ed una gratifica di 5 -6 carantani al giorno.

C'erano dei giovani, pochi invero, che, specie in tempi di bisogno, facevano domanda per il servizio nella milizia. Di solito, quando il Governo della Provincia segnalava alle comunità il fabbisogno di uomini, tra le 50 e le 100 uniti per valle, si doveva quasi sempre ricorrere alla “bus solazione”, cioè all'estrazione a sorte tra gli abili dai 18 ai 5 0 anni.

In tempo d'emergenza il Governo ed in modo particolare il comando militare ponevano maggior fiducia nelle compagnie dei bersaglieri, perché nella stessa opinione pubblica costituivano l'elite, il Fiore dei cittadini, quell' esercito permanente e pronto anche se privo di divisa, «das stehende Heer», una truppa sempre disponibile, mossa e sostenuta da una forte spinta ideale.

Secondo gli antichi patti, il Principato Vescovile, nel pericolo di una invasione, era tenuto a formare in una prima mobilitazione 35 compagnie di bersaglieri, di cui quattro dal Magistrato della città di Trento e una dal Consiglio Aulico Vescovile, per un totale di 4.150 combattenti.

Ora, nell'estate del 1796, la guerra era davvero imminente, era una reale minaccia alle porte del Tirolo.

Nella prima coalizione europea contro la Francia (1793-96), cui parteciparono Austria, Inghilterra, Prussia, Russia, Spagna, e in Italia il Regno di Sardegna, il Granducato di Toscana, lo Stato della Chiesa e il Regno di Napoli, lo scontro principale avvenne in Olanda e in Belgio. Ma quando la coalizione comincio a sfaldarsi, perché Prussia e Russia erano impegnate a dividersi la Polonia, restarono praticamente soltanto l'Inghilterra e l'Austria a combattere la Francia.

Fu allora che il giovane generale Napoleone Bonaparte ricevette I'ordine dal Direttorio parigino di guidare un'armata nell'Italia settentrionale, di staccare i vari regni italiani dall'alleanza, di occupare la Lombardia e «attraverso le valli del Trentino entrare nel cuore del Tirolo, a congiungersi con le armate del Reno comandate dai generali Jourdan e Moreau per obbligare l'Imperatore d'Austria alla pace».

Nella risposta al Direttorio, scritta il 28 aprile 1796 a Cherasco, dove il Piemonte aveva chiesto la pace e ottenuto un armistizio, Napoleone confermava le sue intenzioni di «avanzare all'indomani ed occupare la Lombardia, e di essere tra meno di un mese sui monti del Tirolo e di incontrare l' armata del Reno e portare così la guerra in Baviera d'accordo con essa. Questo progetto - affermava – è degno di voi, dell' armata e dei destini della Francia»

A Lodi, il 10 maggio 1796, l'esercito austriaco fu sconfitto ed obbligato a ritirarsi lasciando l'intera Lombardia nelle mani di Napoleone. La notizia che l'armata Francese stava ora avvicinandosi ai confini del Tirolo Meridionale allarmò il Governo ed il Parlamento di Innsbruck, ai quali già all' 11 e al 13 erano giunte due lettere, una del Colonnello Conte Domenico Lodron e l'altra del Vescovo Principe di Trento, con l'urgente richiesta di porre attenzione a quanto avveniva in Lombardia e di inviare al più presto viveri e munizioni verso il Tirolo Meridionale.

II 14 maggio si riunirono ad Innsbruck i rappresentanti più qualificati del Parlamento e dell'Imperial Regio Governo per esaminare il da farsi e prendere opportune decisioni. Da tutti fu condivisa l'opinione che bisognava impegnarsi direttamente per la difesa del paese, perche «gli imperiali da soli, cioè l'esercito regolare austriaco, dopo le sconfitte nel Nord Italia non sarebbero stati in grado di salvaguardare i confini».

In data 1 7 maggio il Governatore del Tirolo, Barone di Waidmannsdorf, rivolse il primo appello “Al Popolo Tirolese” con le seguenti parole: “Siccome l'armata alpina Francese comincia ad avanzare con tutta forza verso il Tirolo, cuore degli stati tedeschi ed italiani, e tenta di impossessarsene a coronamento di tutte le sue conquiste ... , si tratta ora di salvaguardare la santa religione, la proprietà, l'ordine, la giustizia e la libertà e pertanto si nutre fiducia che il forte e mai vinto braccio dei fedelissimi tirolesi, sotto la protezione del cielo, sappia opporre resistenza allo avanzamento del nemico”. Nell'appello si ordinava ai responsabili dei distretti giudiziari di informare le popolazioni del pericolo imminente e di predisporre l'elenco delle compagnie dei bersaglieri disponibili per la difesa. Ed in relazione a questa si ordinava ancora :

a) D'implorare la Divina Provvidenza con pubbliche preghiere, e di esortare ognuno alla fedeltà verso il Sovrano, e di eccitare tutti ad una volontaria contribuzione.

b) Che sul momento restassero chiusi teatri, e i pubblici divertimenti.

c) Veniva proibita l' estrazione dei commestibili dal Tirolo.

d) Si comandava di accelerare per Rovereto la spedizione di fieno, di paglia, e di biada da cavallo.

e) D'invigilare attentamente sopra le persone sospette.

f) Che tutte le armi adoperabili fossero prese in nota.

g) Che tutte le spese in fabbriche restassero sospese.

In un secondo appello, datato Innsbruck 21. 5.96, il Governatore del Tirolo ripeteva che “in difesa della Patria debbonsi impiegare tutte le forze. Qui trattasi di conservare la religione, la propria costituzione del Paese, le proprie sostanze, e tutto ciò che a ciascuno è caro”). Per impedire l'invasione nemica si affermava: «Richiedonsi viveri e danari, e senza di questi non si possono provvedere ai primi» e si disponeva «di destinare l'argenteria delle chiese, eccettuatene i vasi sacri, per battere monete, con la promessa del futuro sicuro risarcimento... e di inoltrarle, dopo averle pesate e registrate fedelmente, alla Zecca d'Alla (Hall, vicino ad Innsbruck), contro ricevuta».

L'appello non fu semplice propaganda. Dagli atti ufficiali risulta che le popolazioni, benché colte di sorpresa, reagirono immediata­mente esprimendo la decisa volontà di resistere all'invasione. Da quasi tutti i distretti del Tirolo arrivarono dichiarazioni di mettere a disposizione della nazione gruppi di volontari. Nel Tirolo tedesco esse appaiono più numerose e più decise; meno numerose, meno sollecite e alquanto incerte sono alcune dichiarazioni del Tirolo italiano, per comprensibili e gravi ragioni.

Il Magistrato di Rovereto, in uno scritto dell'8 giugno 1796, comunica che la cittadinanza teme di restare sola in balia del potente invasore, anche perché si trova sotto la deprimente impressione del disastro toccato all'armata austriaca in Lombardia, i cui resti in quei giorni risalivano disordinatamente verso Trento, consumando anche le modeste scorte di viveri accumulati in città.

A Innsbruck non si attese oltre e si passa immediatamente alla fase operativa. In un Convegno dei quattro «Stati» e dei rappresen­tanti dei due Principati di Trento e Bressanone, tenuto a Bolzano dal 30 maggio al 3 giugno, si decise di creare due Deputazioni permanenti di difesa (Schutzdeputationen): quella del Nord con sede a Innsbruck per il Tirolo Settentrionale, e quella del Sud con sede a Bolzano, alla cui presidenza venne chiamato il Conte Giovanni Welsperg di Primiero, e come segretario il Dott. Andrea Dipauli. Da tecnici e da responsabili vennero indicati lungo il confine Sud i punti deboli della «Nazione Tirolese», e precisamente Glarona - ­Tonale - Giudicarie con la stretta d'Anfo e la Val di Ledro - i1 Garda - la Val Lagarina. In questa zona il pericolo dell'invasione era avvertito imminente e pertanto dalla Deputazione del Sud furono sollecitate tutte le Comunità ad inviarvi compagnie di bersaglieri.

Si accettò inoltre la proposta del prelato di Stams, Sebastian Stöckl, di consacrare il paese al Divino Cuore di Cristo Gesù. Fu deciso inoltre di affidare il coordinamento del servizio delle varie compagnie al comando del Generale Leopold Ludwig Barone Loudon, che riuscirà ad accattivarsi ben presto grande simpatia ed in particolare la fiducia dei bersaglieri tirolesi, nella stragrande maggioranza di estrazione contadina, tanto da essere da loro familiarmente chiamato «Bauerngeneral», i1 Generale dei contadini.

Già i1 16 maggio 1796 era stato inviato da Innsbruck a Bolzano e poi ad Arco il Maggiore Stebele dell'esercito imperiale austriaco per assumere i1 comando di 600 bersaglieri, che colà convenuti vennero forniti di armi prelevate dal deposito di Trento, ed inviati verso le zone di confine limitrofe. II 24 maggio arrivarono da Termeno e Cortaccia altri 140 fucilieri, il 26, 100 da Egna, e 100 da Lavis della compagnia «Konigsberg o Montereale».

Pochi giorni dopo, alla fine di maggio, avveniva il primo scontro dei bersaglieri tirolesi con i Francesi lungo le pendici meridionali del Monte Baldo e nelle Giudicarie Inferiori.

II 30 maggio un falso allarme a Riva del Garda, che i Francesi stavano avanzando in grandi forze - corse la voce che «18.000 Francesi avevano invaso il Tirolo» - fece fuggire le popolazioni sui monti e il panico generale travolse i bersaglieri della seconda compagnia di Lavis che abbandonarono in fretta la zona di Riva per raggiungere le loro case.

Questo fatto e il poco entusiasmo con cui molti distretti trentini avevano risposto all'appello del 17 maggio strapparono commenti amari da taluno. Perfino il Capitano della città di Trento, Conte Wolkenstein, in una lettera del 27 maggio al Governo dichiarava che «non si deve porre fiducia nei sudditi trentini, specie su quelli delle vallate di Non e di Sole che avrebbero già vergognosamente affermato di non voler prendere parte a tutta la faccenda e che non avrebbero permesso di barricare il passo del Tonale e le strade che vi portavano». A commento di questo scritto, considerato esagerato e ingiusto, lo storico Kolb aggiunge che nel momento della prova le valli del Tirolo Meridionale ed i loro bersaglieri hanno dato il meglio che potevano.

In uno scritto del 27 giugno 1796, il Dott. Luigi Marcabruni, che aveva rappresentato le città di Rovereto e di Arco al convegno dei quattro «Stati» a Bolzano, lamenta che da taluni si metta in dubbio il patriottismo dei Trentini e la loro volontà di difendere la patria. Rovereto ed Arco avevano già cominciato a formare compagnie di bersaglieri, anche se non arrivavano ne viveri, ne armi ne denaro promessi. E dichiarava che Rovereto aveva realizzato ciò che sembrava impossibile nell'armare i suoi bersaglieri, i quali ancora alla fine di maggio avevano raggiunto i posti avanzati della Valle di Ledro.

Anche in una lettera del Decano del Duomo di Trento conte Manci, si leggono affermazioni in netto contrasto con quelle del Capitano Wolkenstein; al Decano, a Povo, i contadini dei villaggi davano assicurazione che «faranno la loro parte fin quando avranno il Militare presso di loro»; pure gli abitanti di Avio e di Brentonico dichiaravano di voler mandare al confine altre compagnie di bersaglieri se soltanto venissero fomite di armi. E si mette in risalto la disponibilità dei montanari delle Giudicarie e specialmente quelli della Valle di Ledro, che hanno preso la decisione di difendere la loro terra con ogni mezzo.

         Sta di fatto che al 30 giugno erano allineate, a difesa dei confini, le seguenti compagnie per un totale di 2.500 uomini:

Sul Monte Baldo, dal 5 giugno, la Compagnia di Bressanone, con 192 uomini; la Compagnia di Taufers, con 133 uomini; dall' 11 giugno, la Compagnia di Lana, con 122 uomini; dal 15 giugno, la Compagnia di Trento, con 130 uomini; dal 26 giugno, la Compagnia di Lavis, con 79 uomini.

Nelle Valli Giudicarie, dal 25 maggio, la seconda Compagnia di Lavis, con 99 uomini; la Compagnia Giudicariese, con 100 uomini.

In Val di Ledro, dal 20 maggio, la Compagnia di Arco, con 60 uomini; dal 27 maggio, la Compagnia di Rovereto, con 140 uomini; dal 24 maggio, la Compagnia di Egna, con 99 uomini; dal 28 maggio, la Compagnia di Bolzano, con 83 uomini.

In Valsugana, la Compagnia di Primiero, con 123 uomini, quella di Salorno con 124, di Bolzano con 135 e quella di Welsberg (Pusteria) con 102.

Al Tonale erano affluite già il 3 maggio 2 Compagnie di Merano con ognuna 116 uomini, 2 Compagnie di Vipiteno con ognuna 141 uomini, una di Caldaro con 120, e un gruppo di 100 guastatori-zappatori di Castelfondo.