ritorno all'Indice

IL MONDO DEGLI SCHüTZEN

DIE SCHüTZENWELT

 

"Uomini e genti Trentine durante le invasioni napoleoniche  1796 - 1810"

di prof. mons. Lorenzo Dalponte - Edizioni Bernardo Clesio Trento anno 1984

.

12) Cronistoria Giudicariese

     pagina precedente   :  11) bernardino Dal Ponte Capitano                          pagina seguente:  13) alcune ipotesi interpretative

 

Cronistoria giudicariese: 1796-1810

1 7 9 6

A completamento di quanto è stato finora narrato e per conoscere meglio l'ambiente ed il tempo in cui operarono le compagnie del Dal Ponte e di tanti altri Capitani, si passa ora ad esaminare più da vicino e con maggior ordine quanto avvenne dal 1796 al 1810 nelle Valli Giudicarie, che per prime conobbero le amare conseguenze delle invasioni francesi. L'esame delle cronache e dei resoconti dell'epoca, distribuiti anno per anno, aiuterà a leggere gli avvenimenti con maggior chiarezza e forse a riviverli in qualche particolare. Fu un susseguirsi di eventi, di miserie, di sofferenze singole e generali, che per 14 anni sconvolsero gravemente la vita delle popolazioni.

Nella tarda primavera del 1796 grossi reparti dell'armata imperiale austriaca, sconfitta più volte ed assai duramente da Napoleone nella Pianura Padana, si ritirarono in disordine verso i confini meridionali del Tirolo arrestandosi nelle zone di Dolce e della Chiusa di Verona, nell'estremo tentativo di ostacolare l'accesso alle valli. Ad alcuni battaglioni, rinforzati da reparti d'artiglieria, fu affidata la sponda destra dell'Adige, fino al Garda e alle Giudicarie.

In questa zona, e precisamente in quel di Arco, il Governo di Innsbruck inviò il Maggiore Stebele con l'incarico di raccogliere circa 600 bersaglieri e di fortificare maggiormente i passi nella zona del Lago d'Idro. Si cominciava a temere seriamente l'invasione. Già alla fine di maggio molti trentini e rendenesi, che erano nei dintorni di Valeggio sul Mincio “a pelare i morari, furono all'improvviso spettatori di una scaramuccia tra Francesi e Austriaci e allora fuggirono tutti spaventati o senza cappello o senza scarpe e senza mercede” e tornarono ai loro paesi.

Erano giunti dalla Francia anche nelle valli giudicariesi profughi di tutte le categorie che per ragioni politiche o religiose avevano scelto l'esilio pur di non prestare il giuramento prescritto dalla Convenzione Nazionale. Le notizie che recavano si diffondevano rapidamente e mettevano paura.

L'allarme d'un pericolo imminente si propaga lungo il confine e, su ordine della Deputazione di Difesa di Bolzano, si iniziarono speditamente i lavori più urgenti di difesa.

II 22 maggio arrivarono a Riva del Garda 400 soldati austriaci e presero quartiere nella Rocca. Negli stessi giorni s'accamparono nella zona una compagnia giudicariese di 100 uomini e una di Lavis; 40 volontari di quest'ultima, sotto il comando del Capitano Carlo Luigi Sebastiani, chiesero ed ottennero il permesso di essere impegnati con i regolari imperiali anche oltre i confini.

I paesi erano in agitazione, quasi nel terrore, e basta nella zona d'Arco un falso allarme, come è già stato detto, perché la gente fuggisse sui monti a grande precipizio.

Solo che né le Deputazioni di Difesa e meno che meno le popolazioni avevano previsto le conseguenze di una clamorosa sconfitta dell'esercito austriaco, obbligato ad abbandonare o  a distruggere i magazzini di sostegno nella pianura Padana e a ritirarsi entro Le valli della roccaforte trentina, spingendo avanti a se una lunga carovana di soldati feriti e ammalati, bisognosi di ogni cura. Furono ben presto consumate le scorte di viveri presenti nei depositi sia governativi che privati, dislocati lungo le strade percorse, e lo spettro della fame minaccia esercito e popolazioni.

“Il maggior nostro travaglio fu la carestia dei viveri, mentre non si poteva aver polenta da nessuna parte”, scriveva il notaio Ongari nel giugno 1796, a poche settimane dall'inizio delle ostilità. Pareva che dovesse incombere in poco tempo una catastrofe totale ed inevitabile.

Se la situazione non divenne tragica, lo si dovette alla “macchina organizzativa” che, per quei tempi, ha quasi del miracoloso. All'esercito e alle popolazioni del Tirolo Meridionale, che avevano un estremo bisogno di granaglie, fu provveduto facendo grossi acquisti di granoturco e di polenta nella vicina Repubblica di Venezia e facendo affluire verso le zone di confine il più rapidamente possibile ciò che c'era nei magazzini governativi di Innsbruck, di Bolzano e di Trento.

Fu intensificato il trasporto di viveri da Bronzolo fino a Sacco, sul fiume Adige. Le barche portavano viveri per le popolazioni, mentre le zattere caricavano vettovaglie e munizioni per l'armata. Lunghe colonne di buoi e cavalli partivano con i loro carriaggi da Innsbruck verso il Sud, carichi di vettovaglie fatte venire dall'Alta Austria e dalla Baviera.

Per quanto riguarda Le Giudicarie, il Commissario Barone de Moll, da Rovereto, in data 27 giugno 1796, rispondeva al Cancel­liere di Trento, conte Consolati: “Fatto presente all'Ecc.mo governo dell'Austria il bisogno che Le Giudicarie vengano provve­dute di farine, pane e grano, rescrive il prelodato governo con suo decreto del 24 corr. che i cavallari delle Giudicarie debbono essere avvertiti di portarsi presto a Trento e parte a Rovereto per prendervi segala, e, non potendo questi pagare sul fatto, debbono i rispettivi magistrati di Trento e Rovereto ritrarre dai medesimi le quietanze e queste poi riportarle nel conto che saranno per presentare del grano da essi magistrati ricercato”. Analoga comunicazione veniva spedita al Luogotenente di Stenico ed ai Comuni.

Anche il rifornimento di fieno ed avena per i reparti di cavalleria creò da per tutto continue grosse difficoltà, risolte comunque volta per volta e dalla buona volontà degli incaricati alla requisizione e dalla disponibilità dei contadini a rifornirli, perché tutto questo non poteva accadere senza sacrifici. Numerosi contadini, o perché invogliati dai compensi o perché obbligati dalle minacce seguivano i reparti austriaci e più tardi anche quelli francesi, con i loro carri, quasi sempre tirati da buoi, carichi di bagaglio, di provvigioni o di munizioni.

II 30 giugno arrivarono dalla Gerrnania i primi consistenti rinforzi in uomini e mezzi per l'armata imperiale austriaca, inviati dal nuovo comandante Maresciallo Conte Dagobert Wurmser per fronteggiare i Francesi. Con la loro presenza il fronte Sud parve più difeso e più sicuro.

In luglio il Gen. austriaco Quosdanovich, da Riva, attraverso la Val di Ledro e le Giudicarie, avanzò verso Brescia con 18.000 soldati e con un'azione combinata con il Maggiore Malkamp, comandante di 12 barconi muniti d'artiglieria e salpati da Torbole, conquistò Salo, dove fece prigioniero un grosso reparto Francese con il Comandante Gen. Rusca.

Per il trasporto delle vettovaglie e delle artiglierie necessarie alle truppe in marcia verso Brescia, “furono impiegati tutti i carri e cavalli delle sette Pievi. Caricavano pagnotte a Riva, e le conducevano dietro le truppe fino a Storo, Idro, Barghe ed alcune fino a Brescia andandovi insieme anche i nostri Sindaci per provvedere ad ogni urgenza”.

Da Salò Quosdanovich fece avanzare su Brescia il Generale Klenau, che, raggiuntala, ne travolse il presidio, facendo prigioniero il Generale di cavalleria Murat, futuro Maresciallo dell'Imperatore. II cronista italiano Riccobelli di Brescia, parlando delle truppe austriache, scrisse: “Sommo era l' ardore di queste truppe·”.

Napoleone intuì il pericolo che correva. Dapprima si buttò, con quasi tutte le forze di cui disponeva contro Quosdanovich, e lo batté a Lonato; poi ancora a Desenzano, a Salò e Gavardo e alla fine lo costrinse a ritirarsi nella Valle del Chiese, dietro la Rocca d'Anfo. Poi si volse contro Wurmser e lo sconfisse il 5 agosto nei pressi di Solferino, obbligandolo a ritirarsi verso Ala, al riparo della Chiusa di Verona. Gravi danni ebbero molti contadini della Val d'Adige che seguivano l'armata con i carri trasportando viveri e munizioni: persero 200 paia di buoi nella disastrosa ritirata e a stento salvarono la loro stessa vita.

II 14 agosto i Francesi entrarono per la prima volta nel Tirolo con il Generale S. Hilaire dalle Giudicarie Inferiori. II suo aiutante, Gen. Sauret, dopo aver assediato la Rocca d'Anfo e aggirato il lago d'Idro, puntò su Storo, che fu occupata dopo che la compagnia austriaca, sistemata a difesa della borgata sul ponte di Storo, fu travolta e fatta prigioniera. In quell'azione i Francesi incendiarono il paese di Dano volendo punire la popolazione perché aveva suonato a stormo ed era poi fuggita.

La voce che i Francesi avevano varcato il confine passa veloce di paese in paese. Ne da notizia 1'Ongari:

“La mattina del 13 summo mane i Saltari di queste Comunità andarono a battere a tutte le case, avvisando la gente, che i Francesi erano entrati nel Territorio di Condino, e che però stessero tutti all erta per porsi in salvo; dopo si diceva, che erano giunti in Condino la sera innanzi a 3 ore di notte, e che sul tardo erano arrivati anche a Tione, e molti di Rendena andarono apposta a Tione per assicurarsi; ma non era vero. Sono entrati nel Distretto di Lodrone la stessa mattina del 13; e la sera si fermarono in Condino, ed in Bono. Lo stesso giomo fu stabilito su pubblico Consiglio di levare i battenti da tutte le Campane, affinché non si potesse suonare a stormo, e che ogni Casa dovesse dare alcune Libbre di pane e di farina. Questa provianda fu mandata a Villa acciò di là in caso di bisogno venisse poi spedita a Tione. La gente si affacendò a nasconder la roba, ed a condur le famiglie al sicuro sui monti, massime nelle due valli di S. Valentino, e di Borzago”.

Siccome poi gli imperiali austriaci si erano ritirati verso Tione, i Francesi avanzarono nello stesso giorno fino a Roncone dove bruciarono sei case perche qualcuno aveva data l'allarme col suono delle campane ed inviarono pattuglie nei paesi della valle e poi su, fino a Tione, imponendo alle comunità gravose contribuzioni. Al Cancelliere del Consiglio Aulico di Trento, Conte Consolati, così scrisse il 16 agosto il giudice Antonio Stefano Stefanini da Tione: “... il 12 corr. i Francesi superata senza ostacolo la Rocca d' Anfo, sono entrati nel Principato per le parti del Caffaro. Corsero subito sopra Storo in cui stava neghittoso un battaglione dei nostri: lo fecero prigioniero senza alcuna resistenza e abbandonarono la truppa al saccheggio ... leri giunse sulla piazza di Tione un aiutante di campo francese con un distaccamento di 32 uomini a cavallo e due ufficiali. Qui devo riconoscere che il popolo si contenne seriamente poiché non dimostrò alcun timore all'ingresso della truppa con le sciabole sguainate e con tromba sonante, ma non fece neppure il minimo applauso e stette, secondo le preghiere da me fattegli, in piena indipendenza, colle porte e le botteghe aperte, colle donne alle finestre e coi ragazzi per le strade come se fosse un distaccamento di nostre truppe. Per mezzo mio, giacché non parlavano se non imperfettamente italiano, annunziarono con espressione di dolcezza che abbisognavano di viveri... Diedero ordine:

I) di consegnare in giornata da parte dei comuni dipendenti dal capoluogo di Tione 1300 boccali di vino sincero, numero 1400 libbre di pane peso medesimo, 10 bovi o vacche, da condurre a Storo e consegnare al generale;

II) inoltre, come tassa di guerra, i comuni dovevano consegnare 4 muli e 8000 lire moneta del paese ... Ai sindaci dei cantoni di Tione, Bleggio, Banale e Lomaso si chiese di allestire la contribuzione per il giorno seguente per evitare ai soldati francesi di passare a estremità rincrescevoli... Dopo molte discussioni imposero ai deputati delle 3 Pievi oltre il Durone di consegnare ciascuna 40 some di frumento, 2 bovi e 3000 troni ... Due giorni dopo si accontentarono di 6000 troni, invece degli 8000.

Nel frattempo, lo sfascio dell' armata imperiale in Lombardia ebbe dappertutto lungo le zone di confine, e anche all'interno, delle ripercussioni gravissime. Scoraggiamento e paura colsero perfino il governo centrale del Principato di Trento oltre che le popolazioni, ed il Vescovo Pietro Vigilio, impaurito, fuggì a Passavia presso il fratello vescovo di quella città. Pareva impossibile ormai ogni resistenza all'invasore.

Da Storo intanto, a mezzo due inviati, il comando Francese imponeva al comune di Riva del Garda di inviare, entro 24 ore, 10.000 razioni di pane (1000 libbre) e 400 brente di vino e di versare inoltre 8000 lire. Nell'impossibilità di ottemperare a tale richiesta i cittadini di Riva inviarono a Storo due deputati che ottennero alla fine una riduzione. Torbole si rifiutò di fornire quanto richiesto e venne bombardata da una feluca apparsa improvvisamente davanti al porto.

Le pretese dei Francesi e il loro brutale ed esoso comportamento avevano suscitato forti reazioni in Va1 Giudicarie. I valligiani, quanto mai adirati, scongiurarono a mezzo i Sindaci i1 Gen. Wurmser di far tornare la truppa, assicurando che essi si sarebbero uniti per cacciare i1 nemico dalla regione. Ottennero che un reparto di ussari austriaci fosse comandato a Riva e proseguisse poi per Lardaro.

Ma il giorno 16 agosto arrivò a Storo da Brescia lo stesso Napoleone con una scorta di oltre 30 ufficiali. Ebbe parole di elogio per i1 Gen. Sauret, organizzò un grande pranzo con l'intervento di tutta la ufficialità, con la quale studiò poi attentamente le carte della regione e discusse i1 piano di conquista del Tirolo. Nel pomeriggio ripartì per Salò e Brescia.

Il 20 agosto i Francesi si ritirarono da Storo, benché forti di 2000 uomini, perché erano arrivati in valle gli ussari imperiali. Prima di andarsene saccheggiarono la borgata e passando per la Rocca d'Anfo ne distrussero le fortificazioni. II 22 ricomparvero più numerosi e rioccuparono Storo, mentre i reparti austriaci riparavano nelle Giudicarie Esteriori.

Al Cancelliere di Trento scrisse in quel frangente il Luogotenente di Stenico: “ll timore cresce, la truppa francese è arrivata a Pieve di Bono e consiste in 6000 uomini tra fanteria e cavalleria ... La popolazione vive nella costernazione ... II colonnello austriaco ha distribuito la ristretta sua forza in 375 uomini di fanteria e 60 di cavalleria nei posti più importanti della Bocca di Durone e a Ballino ed ha posto picchetti all'interno delle pievi di Lomaso, Banale e Bleggio portando il suo quartiere alle Moline di S. Lorenzo”. Due giorni dopo, in data 23 agosto, il Luogotenente comunicava ancora che “quattro soldati di cavalleria francese sono comparsi a Stenico e tra questi un trombettiere ... Dopo un' ora di riposo hanno proseguito il viaggio verso Le Moline del Banale perche avevano una lettera da consegnare al Comandante di Trento a mezzo un ufficiale di stato maggiore. Qui in Stenico non hanno fatto il minimo insulto, solo hanno voluto fieno e biada ed hanno mangiato gratis”.

In uno scritto del 24, allo stesso Cancelliere, i1 Giudice Stefanini da Tione riferiva che “se gli Austriaci sapessero prendere meglio le loro misure, potevano nelle due notti che fu qui il nemico con 150 uomini, tagliarlo fuori con tutta facilità e levargli le ammassate contribuzioni”. E aggiungeva: “Non potei a meno questa mattina, mentre gli ufficiali francesi facevano colazione a casa mia, di dir loro che potevano facilmente esser caduti nelle mani del nemico se questo fosse stato più risoluto e più intraprendente. Convennero e aggiunsero che appunto perche lo conoscevano troppo prudente, azzardavano l'impresa, certi di riuscirvi. Per sera mi trovai presente allorché tornò un ufficiale con un trombetta accompagnato da due ussari che erano in cerca degli austriaci (solite astuzie di guerra per scoprire li siti e le posizioni!) e racconto che lì scoprirono vicino alle Moline ... Siamo in una lacrimevole situazione, i Francesi esigono continuamente da mangiare e da bere in tempo che manchiamo di tutto, temiamo di vederli da un momento all'altro giungere in gran copia e spogliarci di quello che ancora ci resta, sotto gli speciali titoli di libertà e di fratellanza e di cento altre belle frasi capaci solo di far girare il capo a chi lo ha troppo leggero”.

Tre giorni dopo lo Stefanini segnalava nuovamente a Trento che non era in grado di precisare se i Francesi sono quattromila o ottomila. “I loro posti avanzati sono a Condino ma i picchetti di cavalleria scorrono fino a Pieve di Bono ed esigono contribuzioni di fieno, galline e vacche. Da Rendena hanno preteso 100 barili di vino con ordine di spedirli a Storo con i muli. Le malghe vengono visitate e spogliate dei prodotti lattici”. Si era ormai alla vigilia della grande invasione in profondità nel Trentino; e il 2 settembre Napoleone dava ordine di entrare.

“II 2 settembre - scrive il Notaio Ongari - crebbe il nostro timore perché arrivarono di nuovo a Tione 5 mille Francesi; e giunse anche subito l'ordine che volevano da Rendena pane e vino; e poco dopo nuovo espresso che volevano di Contribuzione troni 3 mille, e si dovette anche sborsarli subito, perché avevano nelle mani come ostaggio il D.no Giuseppe Cantonati di Villa ex Sindaco, che imprudente ha voluto portarsi a Tione. La sera verso notte si ebbe la nuova che i Francesi erano andati tutti per Durone. II 4 di mattina i Francesi sloggiarono dal Bleggio e dal Lomaso dopo aver molto rubato e sono andati tutti improvvisamente a Riva. Ma da Bono e da Condino non sono partiti mica tutti insieme perché anche al 5 fu un continuo passaggio per il Durone e rubare”.

Difatti, da Storo, le truppe francesi agli ordini del Gen. Vaubois si aprirono la strada verso il Nord e attraverso i passi del Durone e di Ballino, scesero su Riva del Garda e su Torbole e poi marciarono verso Nago e Loppio spingendo all'indietro i soldati austriaci. Arco fu occupata e alla comunità fu imposto il pesante contributo di 6000 fiorini. I villaggi poi lungo il cammino dei Francesi furono oggetto d'un sistematico saccheggio.

La loro marcia verso Trento veniva nel frattempo osservata da pattuglie di dragoni austriaci e da compagnie di bersaglieri che erano di presidio all'imbocco della Val Rendena e che si ritirarono verso Madonna di Campiglio e la Val di Sole quando giunse notizia dell'arrivo a Trento delle prime colonne francesi.

II 5 settembre infatti il Generale Massena entrò vittorioso a Trento e qualche ora dopo arrivò anche il Generale Supremo, Napoleone Bonaparte. Questi, pur fermandosi un sol giorno, nel quale svolse un'intensa attività sia nel predisporre nuovi strategici movimenti alle sue truppe, sia nel dare direttive per il governo della città e del Principato, emanò un ordine del giorno ch'é un documento di per sé tristemente eloquente di quanto le popolazioni giudicariesi e trentine ebbero a soffrire in quelle giornate:

“Il Generale in campo si lamenta dei disordini e del saccheggio commessi dalla divisione del generale Vaubois lungo la strada di Storo. Si lamenta pure del saccheggio e dei disordini di ogni genere commessi dalla divisione del generale Massena a Trento e nei dintorni. II Generale in capo ordina che il suo proclama ai tirolesi sia letto sul fronte di ciascuna compagnia, e che i valorosi dell'armata d'Italia si conformino alle disposizioni che esso contiene, in riguardo al popolo tirolese. I generali devono aver ricevuto ieri delle copie del proclama, che senza dubbio, essi hanno fatto distribuire alle truppe. I generali di divisione faranno punire i saccheggiatori, in conformità dello ordine del generale in capo dato al principio della campagna. II generale in capo, avendo proibito che qualunque vettura segua l'armata nelle gole del Tirolo, ha fatto bruciare quella d'un ufficiale dell'artiglieria leggera, il quale non si era regolato secondo questa disposizione”.

In quello stesso giorno, 6 settembre 1796, Napoleone nomina il Gen. Vaubois Comandante della Piazza di Trento, di Riva e Torbole, il quale nelle settimane seguenti, di settembre e di ottobre, su espressa richiesta di Napoleone, faceva appendere i suoi proclami nelle città e nei villaggi rivolgendo agli abitanti l'invito a tornare alle loro case. Fu resa nota anche una minacciosa intimazione per la consegna di ogni arma e per la requisizione di rilevanti quantitativi di carne, pane, vino e scarpe, necessari alle truppe d'occupazione. Nelle Valli Giudicarie giunse poi l'ordine ad ogni parrocchia di mettere a disposizione 15 paia di buoi con carro e relativi accompagnatori per il trasporto di fieno e di biade requisite verso gli accampamenti delle truppe.

Il che non avvenne in realtà, perche i Francesi, come altrove è già state riferito, si trovarono ben presto in grosse difficoltà militari nel far fronte alle truppe regolari austriache e alle numerose compagnie di bersaglieri tirolesi. Già a metà ottobre furono obbligati ad abbandonare la bassa Valsugana, perché non erano in grado di resistere agli attacchi delle compagnie provenienti dalla zona di Primiero che premevano dalle montagne sulla valle. Anche sulle colline di San Michele e sulle alture di Palù di Giovo e su per la Valle di Cembra fino a Segonzano e Sover, che erano le punte più avanzate delle conquiste francesi, ogni tentativo di sfondare per penetrare verso la Val di Fiemme fu respinto con gravissime perdite. II giorno 2 novembre 1796 rappresenta una data storica: in quel giorno, una brigata francese forte di 2800 uomini, divisa in due colonne, una per l'altopiano di Pine e l'altra da Sevignano, si mosse per prendere tra due fuochi Segonzano, punto strategico per un'ulteriore avanzata, ma fu fermata e costretta a retrocedere con gravi perdite.

Alla fine di ottobre il Gen. austriaco Barone Loudon partì con la sua truppa da Cles ed attraverso Andalo e Molveno entrò in Val Giudicarie, mentre un suo colonnello, Doller, con un reparto di cavalleria, da Spormaggiore e per Fai, attraverso la Valmanara, occupava Terlago e costringeva un battaglione francese, dopo uno scontro a Cadine, a ritirarsi verso Trento. Contemporaneamente un'avanguardia inseguì le pattuglie francesi da San Lorenzo di Banale verso Ballino e, scesa ad Arco il 4 novembre, fece prigionieri alcuni ufficiali francesi. II 6 novembre, mentre in Val d'Adige per due giorni infuriava la battaglia di Calliano, nella valle del Sarca il Gen. Loudon faceva marciare da Arco verso i confini meridionali la sua brigata in tre colonne: le prime due, attraverso il Monte Porino e il Monte Della Mezza, dovevano spingere i Francesi verso Loppio e Mori, la terza aveva il compito di avanzare sulla sponda destra del Sarca alla conquista del Monte Brione e di occupare poi il porto di Torbole.

Questa colonna venne a trovarsi sotto il tiro dei fucilieri francesi che, per difendere Torbole, avevano precedentemente distrutto il ponte e si erano trincerati sulla sinistra del fiume Sarca e sulle alture di Nago, sostenuti dal tiro di alcune loro cannoniere sistemate su grossi barconi, feluche, ancorati nel porto di Torbole.

In aiuto della terza colonna in difficoltà accorsero gruppi di contadini della zona che furono provvisti di armi, tolte in parte ai francesi caduti, dal Capitano Rogla e dal suo Tenente Anton Tenig della compagnia di Caldaro. Altri contadini aiutarono la truppa a trasportare cinque cannoni al di la del Sarca e a portarvi munizioni e accessori. Con questi cannoni furono affondati due barconi nel porto di Torbole e ridotte al silenzio le cannoniere. Reparti austriaci riuscirono a ricostruire in fretta i1 ponte, tanto che i1 Col. Doller, che era arrivato da Cadine, via Vezzano, poté far passare cavalleria e fanteria ed occupare Torbole impossessandosi anche delle cannoniere.

In un esposto al Comando militare, il Col. Doller ebbe espressioni di lode e di ammirazione per i contadini del Basso Sarca. Cinque di essi, che si erano maggiormente distinti per coraggio e disprezzo del pericolo, Andrea Alberti, Stefano Fava, Andrea Gioppi, Antonio Zucchelli di Torbole, e Felice Martinelli di Arco, furono decorati con la medaglia d'onore della nazione tirolese. Anche le compagnie di Lana, Mezzocorona e Spor, con quella di Caldaro, si distinsero in quest'operazione per coraggio e spirito di sacrificio.

L'8 novembre i1 Gen. Loudon passò per Tione con altri reparti delIa sua brigata, liberò dai Francesi le Valli Giudicarie e si spinse con le avanguardie oltre la Rocca d'Anfo.

Al riguardo il cronista Ongari così commenta : “Agli 8 novembre passò per Tione verso le valli Bresciane il Gen. Loudon con circa 10 milIa uomini, parte Cavalleria, parte Fanteria, parte Cacciatori, e parte Croati, provenienti da Riva, Rovereto, e Trento, dopo aver scacciato i Francesi da tutto il Trentino. Il 9 siamo stati all'udienza, dopo una vacanza di due Mesi, e ne ho veduti anch'io molti acquartierati e nelle Case e ne' Campi, sì a Tione, che a Bolbeno, Zuclo e Giuggiado. Là si sentì, che nel cacciarli fuori dal Tirolo, vi sono restati 4 mille Francesi morti, e 2 mille prigionieri; là vi sono restati anche molti Tedeschi. I Francesi sono entrati in Trento il 5 settembre, e sono partiti il 5 novembre, dopo esserne stati in possesso due mesi in punto. Da Trento sono partiti senza aspettare l'attacco degli Austriaci, ma a Castel Beseno, Besenello, e Calliano, hanno fatta resistenza, seguirono molte zuffe, e fu sparso del sangue assai”.

Per due mesi il Tirolo resta libero. Nella seconda metà di novembre e all'inizio di dicembre 1796 furono richiamate a casa dalle zone meridionali le ultime compagnie di bersaglieri tedeschi e sostituite da quelle trentine. In questo periodo, il Conte von Graff ebbe al suo comando 6 compagnie per la difesa di Riva e della Val di Ledro, mentre altre 7 compagnie, agli ordini del Conte d'Arsio, restarono impegnate per la difesa delle Giudicarie Inferiori e del passo del Tonale.

La cronistoria di questo avvicendamento, tracciata dal notaio Ongari, corrisponde fedelmente agli atti conservati negli archivi di Innsbruck.

Il 13 novembre provenienti da Bono passarono per lo Spiazzo tre milla austriaci soldati a piedi, con cavalli, bagagli, tende, pignatte circa 23 ore, andando verso Campiglio, Tonale, Valcamonica; e la notte giunsero anche 120 Bersaglieri con tamburo, pernottarono in Fisto, ed a Spiazzo ed il 14 di mattina proseguirono il loro viaggio verso Campiglio. Il 14, circa Le ore 20, passa un altro corpo di Bersaglieri Tedeschi, in numero di 70, vestiti di panno bigio pepe e sale, e senza punto fermarsi proseguirono il loro viaggio verso Pinzolo. Alle ore 23 passarono altri 90 Cacciatori tirolesi Tedeschi col loro Capitano e Tenente, che avevano una bella bandiera bianca e verde, e suonavano Tamburo e piffero, e questi alloggiarono in Fisto. II loro Capitano era un Conte, Heedl; ed il giorno dopo andarono verso Campiglio. In seguito tutti questi Bersaglieri hanno proseguito i1 loro viaggio per Val di Sole. II 25 novembre, proveniente da Val di Sole, e da Pinzolo passò di qui verso Tione, e Pieve di Bono una nuova Compagnia di Bersaglieri Nonesi, e Solandri, comandata dai due fratelli Stanchina di S. Zeno uno Capitano e l'altro Tenente, composta di 150 uomini.

II 26 passò in giu altra Compagnia di Bersaglieri Tedeschi, cioé Badioti; e dopo mezzodì arrivò qui da Tione altra Compagnia di Bersaglieri Nonesi, e Solandri, col suo Capitano, Bandiera, Tamburo, numerosa di 250 uomini, che avendo terminato il loro tempo ritornavano al loro paese, e proseguirono il loro viaggio.

II 5 dicembre partì da qui verso Tione la Compagniadel Dott. Cavoli di Pinzolo, composta di 120 uomini senza gli Uffiziali, tutti di Rendena, ed altri 20 uomini di Val di Sole, con tamburo e pifferi, e la sera andarono a Condino; aveva come Primo Tenente il Sig. Antonio Viddi Monarchin, e come Sotto Tenente i1 Sign. Notaio Gio. Brutti di Strembo ... “.

Dagli atti archiviali dell'epoca risulta che per gli avvicendamenti erano al completo i quadri di altre sette o otto compagnie di volon­tari trentini, ma che a queste mancavano armi. C'era tanta volontà e decisione di opporsi a nuove invasioni in tutti gli strati della popolazione. A Rovereto il 23 novembre, in un incontro di responsabili per la difesa dei confini, deputati giudicariesi dichiararono che le loro valli erano decise per l'insurrezione generale qualora i1 nemico tentasse ancora di invaderle. II 5 dicembre, fiduciari delle zone da Brentonico alla Valle di Ledro si incontrarono nuovamente a Riva per decidere opportune misure in caso d'invasione A metà dicembre ventinove compagnie di cacciatori trentini, per un totale di 3600 uomini, erano allineate lungo il confine. In Val Giudicarie stazionavano su piede di guerra due compagnie giudicariesi agli ordini dei Capitani Zorzi Marco di Stenico e Santuari Domenico di Montesover; due altre compagnie erano in Val Rendena con il Cap. Dott. Cavoli di Pinzolo e quella del Cap. Levri di Fiave, nella quale militavano bersaglieri delle Giudicarie Superiori e della Rendena. Nel basso Chiese si avvicendavano le compagnie dei Capitani Maffei di Sarnonico, Torresani di Cles, Vecchietti Francesco di Male, De Pretis di Cagnò, Gili Luigi di Brez.

Nella zona di Riva e in Val di Ledro rimasero sotto il Comando Superiore del Col. von Graff le compagnie Guella Carlo di Riva, Betta Giuseppe di Trento, Fiorentini di Strigno, Baroni di Rovereto-Sacco, Belluti del Banale, Fedrigoni di Folgaria.

Con l'inizio del dicembre 1796 la stagione invernale si fece crudissima. A tutti i reparti in linea si dovettero procurare grossi quantitativi di legna da ardere, di paglia e materiale d'illuminazione. Furono fatti arrivare viveri dal Tirolo del Nord, speck, burro, carne e grano, con trasporti che costarono enormi sacrifici anche agli uomini, perche una violenta afta epizootica semina strage tra gli animali da tiro.

Ciò nonostante, 10.000 bersaglieri, militanti nelle varie compagnie, prestarono servizio con regolare avvicendamento: un numero rilevante in proporzione alla popolazione di poco più di 200.000 abitanti. Contemporaneamente altri 1.000 zappatori-pionieri erano impegnati nella costruzione di nuove trincee sulle alture di Brentonico, a Serravalle e ad Ala.

1 7 9 7

Nelle valli giudicariesi nei primi giorni dell'anno si godette di un periodo di tranquillità, perché il Generale Loudon aveva posto il quartiere del comando a Stenico, distribuendo truppe e compagnie un po' da per tutto. Le comunità avevano la sensazione di essere finalmente protette da quei forti contingenti di truppa.

Ma nel frattempo il Comando Francese preparava la nuova offensiva. Barconi armati vigilavano sui lago di Garda perché dalla Repubblica di Venezia non venissero importate granaglie nel Tirolo, ed il Gen. Roche, il 7 gennaio 1797, si muoveva con 400 uomini per saggiare le resistenze nella Valle del Chiese.

Si suona campana a martello nei paesi di Caffaro, Darzo e Lodrone, e la popolazione tutta insorse e diede man forte ai bersaglieri che riuscirono a bloccare l'incursione e poi a respingere l'invasore oltre la Rocca d'Anfo, al di la del Lago di Idro. Ai tre Comuni, che si erano sollevati con tanto coraggio, il Comitato di difesa del Sud fece giungere da Bolzano una nota particolare di lode.

La spallata fatale, che fece traballare tutte le difese del fronte meridionale, arriva pochi giorni dopo, quando Napoleone batte l'esercito austriaco a Rivoli il 14 gennaio. II Gen. Loudon, che dalla Rocca d'Anfo era avanzato fino a Barghe, nel Bresciano, dovette frettolosamente indietreggiare verso le Giudicarie.

II 26 gennaio il Gen. Joubert, che ricevette l'ordine di entrare nuovamente nel Tirolo, attacca dapprima attraverso il passo di San Valentino verso Brentonico, poi forza le posizioni di Ala, Chizzola e Ravazzone ed entra il 29 a Rovereto.

II 28 sbarca a Torbole, da Sala, il Gen. Murat con 1200 uomini, e marciò su Arco, Drena e Vezzano. Siccome alle porte di Arco rimasero uccisi due soldati francesi, la città fu tassata di 400 zecchini e della fornitura di una grossa quantità di pane e di vino.

Nei villaggi della Valle del Sarca fu un susseguirsi giornaliero di ruberie e di requisizioni d'ogni genere. Non erano soldati quelli, ripeteva la gente, erano cavallette voracissime che pretendevano ad ogni momento viveri e foraggio. Trento, raggiunta dalla cavalleria del Gen. Vial, subì la stessa devastazione, anche se Napoleone aveva espressamente raccomandato con uno scritto di risparmiare la citta. “Sono mostri d'infemo - scrive il Pietrapiana - cani insaziabili, mandati in questo paese per nostro flagello e che non cercano che di rubare ... Una truppa composta di ladri come questa mai vi fu al mondo, ne vi può essere nella storia che un'armata si abbia a sostenere a forza di rapacità, come essa fa, senza pagare cosa veruna”.

Altre disgrazie colpirono le popolazioni: dapprima il flagello della peste bovina che porto gravi danni all' economia delle famiglie. La peste era arrivata dalla Germania nel Tirolo Meridionale con i trasporti di merci tirati da buoi. In breve si dilatò per tutte le valli anche perché non vi erano rimedi sicuri contro l'infezione. Poiché commercianti ingordi e incontrollati trafficavano con bestiame infetto, si dovettero proibire nel mese di giugno tutte le fiere. Unico rimedio efficace fu quello di abbattere il bestiame ammalato e di isolare completamente le zone dell'epidemia; la qual cosa comporto gravi conseguenze: molte famiglie restarono senza animali nella stalla.

Scoppio poi un'epidemia tra la gente, il tifo petecchiale. Ecco la descrizione che ne fa il Maffei nella sua cronistoria: “Non basto il danno negli animali, che in primavera di questo anno si manifestò anche negli uomini una epidemia di carattere putrido convulsivo.

Rimanevano nel Tirolo ospedali militari, e gli ammalati non potevano che mandare morbose esalazioni; e tanti cavalli, ed altre bestie non abbastanza profondamente sotterrate, principalmente lungo le strade regie, riscaldandosi in primavera la terra, fermenta­vano. In molte persone i timori cagionati dalla guerra, e dalle invasioni, congiunti col rammarico de' danni sofferti, ed il ritorno di tanti bersaglieri ammalati, che portavano alle loro case i funesti effetti di strapazzi, e disordini; tutti questi motivi influirono ai mali epidemici che serpeggiarono nelle città, nelle ville, e nei monti, e mandarono al sepolcro migliaia di cittadini talmente, che nel tratto Attesino venne sensibilmente a mancar la popolazione, ed in conseguenza notabilmente soffrirne la agricoltura, non avendo questo male risparmiato ne sesso, ne eta”.

Dai documenti dell'epoca risulta che 8000 soldati e 2000 cittadini sono deceduti a causa di quest' epidemia.

Intanto la truppa francese imperversava implacabile nei territori occupati con continue requisizioni di danaro, di bestiame e di foraggio.

Nelle Valli Giudicarie era stata grande la costernazione della popolazione, quando ebbe constatato che l'esercito austriaco aveva abbandonato la Valle del Sarca, la Valle di Ledro ed il Distretto di Lodrone, per fermarsi incerto sui passi del Durone e sulle alture di Stenico. II lamento della gente era stato portato a Trento da appositi inviati, che non avevano ottenuto se non vaghe promesse. Le Valli erano così passate completamente nelle mani dei Francesi, tranne la Rendena, dove si erano organizzate, per la difesa dell'en­trata della valle, le Compagnie del Cap. Dott. Cavoli di Pinzolo e quella del Cap. Giuseppe Chesi di Spiazzo.

Quando il 18 febbraio, i fornitori dell'esercito francese, accompagnati da una scorta di cavalleria, si presentarono al Luogotenente di Stenico con l' ordine del Consiglio di Trento di requisire 60 buoi, l'allarme scattò e dalla Rendena arrivarono in fretta le compagnie dei Capitani Chesi e Cavoli che sorpresero i1 gruppo disperdendolo e si impossessarono di 10 cavalli, con le bardature. Come era d'uso, fu loro permesso di metterli poi all'asta e di dividerne i1 ricavato.

Anche una puntata dei Francesi da Vezzano verso Molveno, lungo i fianchi della Paganella, venne respinta dai bersaglieri dei Capitani Belluti e Allotti.

Alcuni giorni dopo i bersaglieri di altre compagnie effettuarono un'incursione da Molveno verso Ranzo e Le Sarche, dove dispersero i1 picchetto francese di guardia. Quelli del Capitano Aloisi fecero prigioniero un soldato che doveva recare a Brescia la parola d' ordine. Una pattuglia inoltre si spinse fino ad Arco, coll'intenzione di far prigionieri i cavalieri colà alloggiati.

Altri bersaglieri si impossessarono presso Ballino di 18 buoi e poi ancora di 6 nella zona di Pieve di Bono, che erano stati requisiti e che dovevano essere condotti a Trento. Uno dei più attivi e coraggiosi comandanti fu i1 Capitano giudicariese Marco Zanini di Fiave, che si distinse in questo periodo in diverse azioni coraggiose tra Molveno e Fai ed in alcune incursioni nella Valle del Chiese occupata dai Francesi.

Lo scontento contro l'invasore, per le continue spogliazioni che riducevano la gente all'indigenza, era generale ed è ovvio che le incursioni di gruppi di bersaglieri trovassero l'appoggio delle popolazioni che a loro volta facevano assegnamento sui loro intervento. Quando alla Comunità di Arco fu chiesta una contribuzione esagerata, all'obiezione che essa non era in grado di soddisfarla, i1 comando Francese minaccio un saccheggio di tre ore. I Consiglieri comunali non si lasciarono intimidire e risposero che loro, per chiamare aiuto, avrebbero suonato per sei ore campana a martello. Al che, i Francesi ritirarono per i1 momento la loro richiesta.

Proprio ad Arco giunse i1 26 febbraio un gruppo di bersaglieri dalla Valle di Non che disperse 15 cavalieri francesi, uccise un ufficiale che non voleva arrendersi e se ne tornò a Denno senza perdite con il bottino d'un cavallo.

Col mese di marzo le requisizioni da parte del Comando Francese si intensificarono impietosamente. Si stava preparando l'offensiva e l'esercito necessitava di salmerie. II 6 marzo anche i1 Capitano Zanini raggiunse Arco, e disperse i1 locale reparto di cavalleria facendo prigionieri due cavalleggeri e impadronendosi di 5 cavalli completi di bardatura. Fu premiato con una medaglia e con un decreto di plauso, conferitogli dal Commissario provinciale Carlo de Fedrigotti e dal Comandante Superiore Conte Giovanni D'Arsio.

Un altro colpo di mano, a danno del temuto e odiato nemico, ebbe l'onore della cronaca in Val Giudicarie.

Il Luogotenente di Stenico aveva notificato al Gen. Joubert quanto era accaduto il 19 febbraio. Questi rinnovò la richiesta di bestiame da macello e minacciò di intervenire con la spada e con il Fuoco se non si ubbidiva. Ai Comuni giudicariesi non restò che cedere al ricatto. Ma non erano d'accordo i bersaglieri che la già povera terra venisse privata di altro bestiame.

II Comando Francese addetto alla requisizione raccolse in quel di Storo 80 capi di bestiame e molte pecore e li incamminò per il passo del Durone verso Trento. I bersaglieri, informati della cosa, decisero di impedirne il passaggio. II Cap. Chesi, che presidiava l'entrata della Val Rendena, diede ordine ai suoi bersaglieri di inseguire i Francesi su per il passo del Durone e avvertì i Capitani Cavoli e Torresani, di stanza a Pinzolo e a Carisolo, di far marciare rapidamente le loro compagnie verso Preore e la Scaletta per tagliare la strada al nemico, mentre lui lo avrebbe attaccato alle spalle. Ma Chesi non riuscì a raggiungerlo prima del Durone, lo aggirò allora con una dozzina dei suoi migliori uomini e lo affrontò a Cavrasto, dove poté togliergli 18 capi di bestiame che vennero poi scortati in Val Rendena. I Capitani Cavoli e Torresani arrivarono troppo tardi per fermare tutto il trasporto.

Nell'azione di Cavrasto si distinse per coraggio il sottotenente Giovanni Bruti di Rendena, che s'era unito volontariamente al Chesi, anche se non era in servizio. Gli fu concessa la medaglia al valore

L'episodio è ricordato dal notaio Ongari: “L’8 marzo arrivarono qui al Piazzo 17 uomini bersaglieri della compagnia Sig. Marco Zanini di Fiave, conducendo due francesi fatti prigionieri ad Arco e 5 de' loro cavalli; alloggiarono dal Sig. Alimonta, ed ai 9 incantarono anche essi i loro cavalli nello spiazzo stesso prima delle vacche suddette”.

Passato il periodo invernale, la guerra riprese con nuova virulenza.

Si è già detto che il piano di Joubert era quello di rompere a Salorno e aprirsi la strada per Bolzano, Bressanone, e raggiungere attraverso la Valle Pusteria l'armata di Napoleone in Carinzia.

E quando appunto a Salomo, il 21 marzo, il fronte si sgretolò e gli imperiali austriaci batterono in ritirata, il Gen. Loudon, responsabile delle valli del Trentino occidentale, diede ordine alle compagnie di ritirarsi dalla Rendena e da Molveno verso la Valle di Non e poi, attraverso il passo delle Palade, di raggiungere la conca di Merano. “Sulla sera del 22, mercoledi, - commenta l'Ongari - tutte le compagnie di bersaglieri, che erano in Vigo, Daré ed a Spiazzo, sloggiarono da ogni parte e dovettero marciare tutta la notte, per essere il giorno seguente in Val di Non”. Con le compagnie giudicariesi c'erano anche quelle dei capitani Galvagni, Polidoro, e Ferdinando Belluti de Bergamaschi di Folgaria. Il Comandante Duchi guidò verso Merano altre compagnie e si incontrò colà con il Comandante distrettuale Conte d'Arz (Arsio), con i Comandanti di reparto Fedrigoni e Guella.

Le compagnie si raccolsero tra Lana e Merano, ma con gravi difficoltà per l'alloggio. Si venne perfino alle mani tra le compagnie trentine e tedesche, si sparò anche. Sette compagnie dei Capitani Aloisi, Galvagni, Vicentini, Allotti, Bellotti, Belfanti e Polidoro furono spostate dapprima verso il castello di Bramsberg, all'entrata della Val di Ultimo. Si convenne tra i Comandanti che, per il momento, era più opportuno sciogliere le compagnie trentine e farle rientrare ai loro paesi. Di fatto il 27 marzo, dopo che gli Ufficiali avevano inviato un incaricato parlamentare ai Francesi, perché concedessero libero passaggio ai bersaglieri che, senza armi, tornavano alle loro terre, furono licenziate le compagnie trentine. Prima che se ne andassero, il Comitato di Difesa di Bolzano espresse loro il ringraziamento della patria con la certezza che, ad un ritomo delle truppe imperiali verso il Sud, si sarebbero nuovamente ritrovate per combattere l'invasore.

Non fu necessario quell'anno perché dieci giorni dopo, le sorti della guerra favorirono inaspettatamente gli Austriaci, che il 10 aprile rioccuparono Trento e inseguirono il nemico fino alla Chiusa di Verona.

Due giorni dopo, il 12 aprile, tutto il Tirolo Meridionale era abbandonato dai Francesi, che per quasi la meta furono fatti prigionieri.

Terminava così una lotta durata 10 mesi contro un avversario che per due volte era entrato nel Tirolo per sottometterlo e che per due volte, vinto, dovette abbandonarlo. Furono dieci mesi di tribolazioni per le comunità coinvolte dal passaggio delle truppe nemiche, dal loro soggiorno e dagli scontri che avvenivano con l'avversario. Era arrivato un inverno freddissimo, e i soldati non andavano per il sottile pur di aver legna da ardere: tagliavano ciò che trovavano vicino, levavano i pali alle viti, ingaggiando spesso zuffe con i contadini.

Nell'accennare al travaglio delle popolazioni investite dalla guerra, non va dimenticato quanto esse ebbero a soffrire anche dalla rudezza e prepotenza di qualche reparto dello stesso esercito austriaco. Dalle cronache ufficiali viene ricordato “come indomabile” il Reggimento “GyuIaysches Freikorps” (dal nome del loro comandante), che i Francesi ebbero di fronte sul Monte Corona nel novembre 1796 e nelle zone di Verla e Faedo verso la fine del marzo 1797; lo chia­mavano “la legion infernale”, tanto era il coraggio e il disprezzo del pericolo che i suoi soldati mettevano nel combattimento. Era una specie di falange macedone o di legione straniera minacciosa, quasi disumana, e talvolta senza disciplina, spesso intollerante degli ordini.

Impegnata dapprima in Val Giudicarie, suscita immediate e forti reazioni da parte dei contadini del Basso Chiese per i soprusi e le prepotenze commesse nell'esigere dalle famiglie quanto loro piaceva. Le proteste divennero un coro, quando il reggimento fu spostato tra Bolzano e Merano: in ogni paese commetteva prepotenze e ruberie, tanto che l'autorità militare dovette intervenire, e per espresso ordine del Gen. Loudon vennero assegnate ai soldati del corpo 2000 scudisciate.

Anche il Gen. Lipthay, che nel febbraio del 1797 comandava il fronte di Salomo, in risposta alle lamentele di due inviati della Deputazione di Difesa di Bolzano, dichiara che aveva fatto distribuire molte migliaia di bastonate a soldati resisi colpevoli di eccessi verso le popolazioni, e promise di inviare per l'avvenire, nei villaggi, reparti di cavalleria più disciplinati. E’ significativo al riguardo anche il giudizio espresso dal Dott. Bernardino de Pietrapiana, console della città di Trento:

“.. Biasimando la condotta dei Francesi non è già che per ciò lodar voglia quella dei Tedeschi, poiché anche questi hanno com­messo ogni sorta di rubamenti e di crudeltà, massime verso i carradori, e dato danni volontari nelle campagne, tagliando viti, mori, asportando pali e levando fino i legnami dai tetti delle case per far fuoco; in varie case di campagna infransero tutti gli utensili, specchi, vesti e dopo aver bevuto in cantina vino quanto basta, lasciavano la spina aperta e lo sparsero per essa ...

.. , Tuttavia la truppa tedesca viene desiderata perché, se apporta danaro e incomodo, rende però anche dell'utile al particolare e pubblico poiché tiene cassa di guerra ben munita di denaro e lo spende pagando fieni, avena e quanto le occorre: conduce seco il pane, farine, e biada e li bovi da macello. Consuma il vino del paese e lo paga ed inoltre il commercio colla Germania per il trasporto del vino ed acquavite fiorisce e così anche delle altre merci che da quella parte ritraggono. Se da un canto apportano danno, dall'altro lo compensano col denaro che fan girare e colle derrate che trasportano nel paese”.

Altri disagi e soprusi vennero procurati alle popolazioni, non solo da eserciti di per sé estranei alle terre occupate, ma anche dal cattivo comportamento di qualche bersagliere tirolese. E’ già stato detto del lamento della popolazione della Vallarsa con la compagnia Dal Canton. Sul finire di quell'anno, il cronista Maffei, con triste rassegnazione, terminava il suo commento con le parole: “Non era ragionevole pretendere che tanti bersaglieri osservassero la dovuta disciplina” .

1 7 9 8

“L’anno 1798 fu di qualche respiro per il Tirolo: si erano allontanate le truppe ... erasi diminuito il prezzo del grano e del vino ed erano cessate le malattie epidemiche”

Per animare la nazione si diede principio alla distribuzione delle medaglie per i difensori della patria, che fu effettuata in tutta la Provincia per mezzo di commissari militari.

Già nel settembre 1797 era stato appeso in ogni paese un manifesto, con il quale l'Imperatore Francesco II esprimeva “la sua vera gratitudine agli abitanti della principesca Contea del Tirolo per l'intrepido coraggio e la costanza instancabile con cui presero le armi contro il nemico” e “per dare di tutto ciò a questa degna nazione dei pubblici contrassegni e rendere nel tempo stesso immortali le singolari sue imprese seguite in questo incontro, ordinava ciò che segue:

Primo. Ciascun Tirolese che contro il nemico ha effettivamente servito più lungo tempo o in compagnie organizzate, ovvero anche che si è esposto in marcia colla Massa, conseguirà una Medaglia d'argento, su cui su una parte vi sarà impresso il nostro busto e dall’altra l'inscrizione: Ai valorosi Difensori della Patria: colla licenza di portare pubblicamente questa Marca d' onore fino che vivono.

Secondo. Tutti quelli che non solo marciarono colla Massa, ma che contro il nemico effettivamente servirono più lungo tempo in compagnie organizzate, conseguiranno oltre la Medaglia suddetta in danaro effettivo anche quella somma che importa la Steora, che d'ordinario, cioé in tre termini debbono pagare per le loro Realità Steorali. Quelli poi che soggetti non sono alla Steora o che non pagano di Steora annuale per l'importo d'un Ongaro, acquisteranno un Zecchino ...

Terzo. (Omissis, riguarda le modalità delle distribuzioni, N.d.A.).

Quarto. Tutti quei nostri valorosi e Fedeli Tirolesi che particolar­mente si distinsero o con un'azione segnatamente valorosa, ovvero cooperando in un incontro avanti il nemico a vantaggio del servizio Sovrano, per buon esito di qualche impresa, per salvare un Uffiziale esposto al pericolo, un Camerata, un Bene erariale, o qualche Insegna Militare, saranno anche partecipi a misura dei loro meriti delle Medaglie d'oro”

Nell'estate del 1798 vi furono in quasi tutti i distretti giornate di festa per le decorazioni assegnate ai meritevoli, e nel periodo da giugno a settembre, in una domenica a scelta, fu celebrato un Ufficio Divino a ricordo dei caduti.

Gli ex combattenti erano felici, in primo luogo perché tutti erano stati esentati dalle tasse per la durata di tre anni, poi perché finalmente l'autorità presentava all'ammirazione delle popolazioni e dei commilitoni i meritevoli, ai quali veniva assegnata la medaglia o un riconoscimento scritto, firmato da uno dei grandi personaggi di Casa d'Austria, a cominciare dall'Imperatore.

Furono distribuite in tutto il Tirolo 4.000 medaglie al valore, di cui 137 d'oro a Capitani, 229 d'oro a Tenenti e 78 pure di oro ad aspiranti Ufficiali.

Sulle modaliti dell'assegnazione c'è una precisa narrazione del notaio Ongari: “II 13-14 luglio 1798 ho lavorato continuamente ad estendere, copiare, ed autenticare gli attestati fatti al Sig. Giuseppe Chesi Capitano de' Bersaglieri dai Sindici di Rendena, di Tione, del Bleggio, dal Sig. Vicario di Tione, e dal nostro Sig. Pievano Ferrari; e molti altri fatti da' Sig.ri Capitani Cavoli, e Chesi a diversi loro bersaglieri, che si sono più distinti contro i Francesi. II 16 Le Copie dei Medesimi furono spedite a Cles tutte in un plico, acciò siano trasmesse alla Commissione Provinciale sulla fiducia, che venghino premiati colla promessa Medaglia. II martedi. 18 settembre tutti due i Sig.ri Capitani Cavoli e Chesi colle loro Compagnie, bandiera e tamburo, secondo l'avviso avuto previamente, si avviarono verso Tione, e la nella Piazza ricevettero la medaglia d'argento, e il Zecchino Imperiale ad uno per uno; ma gli Uffiziali Maggiori, cioé i Capitani, Tenenti, ed Alfieri, ebbero la sola Medaglia. Questa volta non lo conseguirono tutti perché il Piatto de' Zecchini era vuoto. Fu dato l'avviso, che Le restanti Medaglie verrebbero distribuite il 26 detto, e siccome questo era Mercoledì, e giorno di udienza, così ho avuto il piacere di vedere anch'io. La distribuzione fu fatta nella Piazza di Brevine presso la Casa Comunale e Le dispensò I'Ill.mo Sig. Barone de Baltheser Tenente Colonnello coll'intervento di molti Capitani, ed altri Signori, sotto un magnifico padiglione, ossia baldacchino a tal fine eretto, colla tavola e le scranne tutte tappezzate con coperte fiorate. In detto giorno 26 furono distribuite 1200 Medaglie, ma invece di zecchini furono dispensati tanti biglietti equivalenti un ongaro; cominciando sempre e chiedendo la distribuzione col suono del Tamburo”.

Oltre a questi riconoscimenti, assegnati in forma solenne in tutto il Trentino , l'Imperatore decreta oltre 600 pensioni per vedove e orfani di caduti. Dei Distretti giudiziari trentini, la Val di Fiemme ricevette il massimo di onorificenze, 9 grandi medaglie e 43 piccole, Lavis 7 e rispettivamente 19, Rovereto 6 e 29, Sover 6 e 26; un encomio speciale ebbero i Comuni di Sover, Sevignano e Valfloriana.

Le popolazioni iniziarono nel frattempo a “leccarsi le piaghe”, come si diceva, a promuovere un lento lavoro di assestamento e di recupero dalle spaventose contribuzioni ch'erano state imposte negli anni '96 e '97 dalle armate francesi.

In un'istanza della Magnifica Comunità del Lomaso del 16 maggio 1798 si dichiara che “per le notorie, luttuose circostanze di guerra ha dovuto incontrare molte spese in guisa che calcolate previsionalmente quelle successe sino l'ultimo agosto 1797 importa­rono la somma di fiorini 14.775, non compresi li quartieri, la contribuzione che ha dovuto pagare al Militar Francese ed il di più dovuti alli carradori” e che pertanto “per ammortizzare tale debito e per dare qualche sovvenzione ai successivi carradori” si trova nella necessità di imporre “uno scomparto previsionale”, cioè il pagamento di 2 troni e mezzo per “ogni fuoco”, cioè per ogni famiglia. e di tre “steure annuali”, cioè di tre imposte annuali, sui beni soggetti alIa contribuzione “steurale”.

Non fu facile per le famiglie raggranellare il denaro richiesto. La tarda stagione portò nuovi disagi, tornò un inverno rigido, “con un freddo molto arido, da cui non si sapeva come difendersi ... I muri delle case erano tutti coperti di ghiaccio, ossia di colabroda dentro e fuori, e tutti bianchi come la neve o la brina”. Dovettero portare perfino gli ammalati nelle stalle per salvarli dal gran freddo, perché nelle case si gelava. Nonostante l'inclemenza stagionale, le comunità attesero fiduciose ad una seria opera di risanamento, sostenute anche dalle promesse del Governo centrale di un successivo aiuto.

Nel frattempo la situazione nello scacchiere europeo era andata calmandosi, anche se qualche timore si rifece vivo quando il Direttorio di Parigi diede ordine all'esercito di occupare la Svizzera e di creare la Repubblica Elvetica. Non fu facile aver ragione dei montanari del Canton Uri e dei Grigioni, e la loro resistenza trovò appoggio anche nel Tirolo. Quì tuttavia non si verificò nulla di straordinario e subentrò per venti mesi un periodo abbastanza calmo. La guerra era molto lontana perché Napoleone l'aveva portata in Egitto, per colpire più duramente l'Inghilterra, implacabile rivale della Francia.

Non si viveva tuttavia nell'inerzia. II Conte Filippo Baroni Cavalcabò, Capo del Consiglio amministrativo, di concerto con il Comando d'armata del Tirolo, inviava il 20 dicembre un'ordinanza alle comunità del Distretto del Trentino, e precisamente ai 4 Vicariati, Riva, Val di Ledro, Storo e Giudicarie, Valle di Sole e di Non, di “organizzare in otto giorni 14 compagnie in modo che queste alla prima chiamata possano portarsi ai luoghi della loro destinazione. A tali compagnie dovranno essere meramente iscritti sudditi tirolesi ... Ogni superiorità e rappresentanza comunale dovrà avere speciale cura della gente di ogni compagnia, calcolato ognuna a 120 teste compresi gli Ufficiali superiori e subalterni ... e che sia provveduta delle necessarie armi”.

1 7 9 9

Nel marzo del 1799 le avvisaglie della guerra ricomparvero nuovamente vicine. Truppe francesi mossero dalla Valtellina per Val Monastero e scesero in Val Venosta. I paesi di Glorenza, Malles e Sluderno furono occupati, saccheggiati e parte incendiati e la gente si trovò in una stagione ancor fredda senza abitazioni e senza viveri. La paura di nuove devastazioni percorse Le valli, attanagliò gli animi e l'allarme fu generale. In Giudicarie le truppe austriache, che avevano svernato nelle Pievi di Tione, Bleggio e Lomaso, Bono e Condino, si mossero verso i confini bresciani dopo aver sistemato picchetti di bersaglieri nelle Valli di Genova, di Borzago e di San Valentino ed in tutti i paesi della Val Rendena, fino a Pinzolo. Altre compagnie della Valle di Non raggiunsero il Tonale, agli ordini di un quartiere generale stabilitosi a Vermiglio.

Non ne fu nulla per il momento. Le sorti poco favorevoli della guerra all'esercito francese in Lombardia, sconfitto a Novi Ligure il 15 agosto dalle truppe russe, alleate di quelle austriache, obbligarono i Francesi a ritirarsi dalla Valle Venosta entro i confini della Repub­blica Elvetica, verso il Canton Zurigo.

Il Tirolo, in complesso, godette d'un periodo di tranquillità, anche se il passaggio di truppe verso la pianura padana non mancò di creare disagi alle comunità che Le dovevano ospitare nelle giornate di sosta. AI riguardo, il Capitano Superiore, o Gran Capitano, a mezzo del Consiglio Amministrativo rivolse un pubblico ringrazia­mento alle valli ospitanti. Il cronista Maffei precisa ancora che nel settembre reparti d'artiglieria russa, con pesanti carriaggi, “presero la strada del Tirolo e per la Venosta passarono a raggiungere” l'armata in Germania, ma che “questo passaggio fu assai molesto, perché avvenuto in tempo, quando le frutta erano nelle campagne”.

Nel frattempo le comunità continuavano lo sforzo di risanamento finanziario per i debiti contratti fino all'agosto 1797. La riscossione delle quote imposte alle famiglie fu lenta e penosa, perché frattanto nuovi oneri vennero ad aggravare la magra economia delle comunità, specie quelli sostenuti per i servizi alla truppa di passaggio. Per questi ultimi solo un paio d'anni dopo, ed esattamente il 22/IX/1803, due deputati delle Sette Pievi, Ferrari di Pelugo e Mattei di Campo, poterono presentare al Governo del Tirolo il seguente consuntivo:

“Credito delle Pievi contro I'Eccelsa Provincia

Per Quartieri, e Carriaggi Militari per l'anno militare 1799.

La Pieve di Banale                             6056.54                                   di Bono                              9847.381/2

La Pieve del Bleggio                         5716.46                                   di Condino                        7277.33

La Pieve del Lomaso                         6399.201/2                             e Com.ti di Saone            128.391/2           

La Pieve di Tione                               13001

La Pieve di Rendena                          2750.48                           TOTALE                            51178.391/2

 

 Per precedenti prestazioni, la somma dell'intero credito delle Pievi verso la nazione tirolese venne arrotondata in fiorini 53.884, un'enorme somma per quei tempi.

1 8 0 0

Con la primavera 1800 si riaccende la guerra tra Francia ed Austria su suolo italiano. In aprile Genova, occupata dai Francesi, viene investita per mare dagli Inglesi e per terra dagli Austriaci. Napoleone interviene personalmente e scende in Italia con un'armata di 60.000 uomini e il 14 giugno sconfigge a Marengo gli Austriaci, obbligandoli ad abbandonare il Piemonte e la Lombardia.

Nel Trentino si teme nuovamente per i confini meridionali. Vengono pertanto richiamate e distribuite le compagnie nelle zone di difesa, mentre le Comunità si organizzano nuovamente per il loro sostentamento e avvicendamento. “Che spesa enorme! - commenta il notaio Ongari - e forse, come si discorre, converrà andar tutti in massa ... Siamo in una somma penuria di mezzi e tutti siamo afflitti e travagliati.”

C'è un decreto del Consiglio Amministrativo che è come una medaglia a doppio senso: da una parte testimonia la presenza di avversioni e ritorsioni da parte di genitori e di padroni, contrari alla resistenza armata, o per carenza d'amore patrio e poca simpatia nelle norme di governo d'allora o per ragioni pratiche, infastiditi d'esser abbandonati da figli e da mezzadri in periodi di pesanti lavori; e d'altra parte dimostra l'adesione di questi giovani alla mobilitazione di difesa. II testo afferma: “Ravvisando l'Imp. R. Cons. Amm.vo come un oggetto di gravissimo pregiudizio alle leggi fondamentali dell'inclita Provincia del Tirolo, l'inconsiderata e condannevole contrarietà dei Padri verso i propri figli, dei padroni verso le persone che si sono arruolate nelle compagnie dei Bersaglieri, scacciando i primi dalla casa paterna i propri figli ed i secondi dal loro servizio i servi o gente impiegata nelle rispettive possessioni, non può i1 medesimo che altamente disapprovare un simile ardito contegno”.

In settembre l'Ongari annota ancora: “Si dice che per Tione sfilano continuamente truppe, e Bersaglieri verso Storo; ed oggi sono passati molti soldati anche per Rendena. Dio voglia che in breve calino in Italia per dar la caccia ai Francesi, e Cisalpini, cacciandoli ben lontani da questi paesi; altrimenti i nostri guai diventeranno sempre maggiori, perché non ci lasciano venire biada nel Paese”.

Ad accrescere la sofferenza concorre una stagione secca, torrida.

Da metà luglio alla fine di agosto la terribile siccità compromise seriamente i raccolti in tutto il Trentino. Non era tuttavia questo malanno la preoccupazione maggiore, ma l'accentuato timore d'un ritorno della guerra.

“Si può dire - continua I'Ongari - che da tre mesi a questa parte siamo sempre stati fra l'incudine e i1 martello. Fu rinnovato due volte l'Armistizio. In Tione, e contorni sempre truppe, e bersaglieri ora di viaggio verso Storo, ed ora di ritorno, sempre carri, e muli a condur loro paglia, legna e fieno; ma Rendena per grazia speciale, salvo Pinzolo, fu quasi affatto esente da' quartieri. Questi ultimi giorni poi hanno sftlato verso Storo, Condino circa 18 mila uomini”.

Ai primi di dicembre, tutti i segantini e arrotini giudicariesi ch'erano a lavorare nella Repubblica Cisalpina dovettero rimpatriare in seguito ad un bando contro di essi; e alla fine di dicembre i Francesi, dopo vari tentativi, riuscirono a venire al di quà del Mincio.

La guerra era ancora alle porte: i timori d'una nuova invasione erano giustificati perché si capiva che Napoleone intendeva dare un colpo mortale all'Austria nei suoi domini italiani. II cronista di Riva, Fiorio, commenta in quei giorni: “Oggi, 27 dicembre, giunse il reggimento Lelli, composto la maggior parte di Francesi, tutta gente bella e fiera ... Si sentono nuovamente incominciate le ostilità. Dio buono! Che mai debba finire per noi questa tragica scena? Che mai più si possa godere quella pace beata che godevano i nostri padri ?

Questo era l'unanime sospiro della gente, alla fine del 1800. II continuo passaggio di truppe imperiali aveva favorito in qualche modo il commercio dei prodotti agricoli perché venivano pagati all'istante dell'acquisto. La circolazione del danaro era stata facilitata dall'introduzione della carta moneta, delle “cedole di banco”. Un nuovo codice giudiziario, compilato per incarico del Vescovo Pier Vigilio dei Conti Thun dal Professore di diritto Barbacovi, era stato promulgato e bene accolto perché faceva scomparire nelle procedure giudiziarie molti arbitri e abusi di chiaro spirito feudale. Erano fatti positivi che servivano se non altro a salvare la speranza d'un domani migliore. Ma non c'era ancora la pace.

Nel grigiore autunnale dell'annata, ancora un ultimo impressio­nante fatto di cronaca in Val Giudicarie: “II 27 novembre, di giovedi, a Stenico, furono decapitati dal boia di Merano, quattro uomini come omicidi proditori di Antonio Baldracchi da Strada e di Rosa di lui moglie”.

1 8 0 1

Abbiamo già narrato, parlando del Capitano Dal Ponte, come il Gen. Francese Stefano Macdonald partì con 10.000 uomini dai Grigioni e, dopo aver invano forzato il passo del Tonale, con abile manovra abbia risalito le Valli Giudicarie più accessibili e di più facile passaggio per un grosso esercito. Lo precedeva il Gen. Lechi con una brigata, il quale, giunto a Riva del Garda, impose al Comune 6.000 razioni di pane e di carne.

II cronista di Riva, Fiorio, annota in data 5 gennaio : “Venne fatta dal Comando generale una forte requisizione di pane e di vino. Tosto fu ordinato di cuocere pane in tutti i Forni e le famiglie principali furono caricate della contribuzione del vino”.

“L'armata diabolica” di Macdonald al completo arrivo a Trento 1'8 gennaio. Era formata di oltre 20.000 veterani che da tre giorni non avevano ricevuto un tozzo di pane; segno eloquente questo che lungo la strada delle Giudicarie avevano trovato paesi impoveriti di tutto. E’ appunto quanto annota il notaio Ongari: “Abbiamo finito male il già spirato anno 1800, ma dubito assai, che voglia esser peggiore quello che è ora incominciato, perché la guerra si fa più seria, e la Carestia cresce di giorno in giorno”.

Finora siamo stati rovinati dai bersaglieri, e dai tedeschi, che hanno voluto tanta legna, paglia, fieno, carreggi, noli, e denaro, che ci hanno ridotti all'ultimo sterminio. II primo Gennaio in queste 4 Ville: Pelugo, Borzago, Mortaso, Fisto e Spiazzo vi sono state a quartiere 5 compagnie di truppe regolate.

II 2, 3, 4 Gennaio è seguita qualche scaramuccia a Storo, Condino ma finalmente essendo giunta la nuova, che una colonna di Francesi era già penetrata per Monte Baldo fino a Rovereto, il 4 dello stesso gennaio i tedeschi, e bersaglieri che erano in questi contorni, sparirono tutti in un momento, e neppur si sa dove siano andati.

II 5 Gennaio cominciarono a passar per Tione i Francesi, e Cisalpini, andando parte per Durone, e parte verso Stenico. Una parte si fermò in Tione anche al 6; ed han voluto da mangiare, e da bere ...

A1 9 si intese, che i Francesi erano già arrivati in Trento; ma solo quella Colonna che passò per Tione; e si raccontò che i Francesi erano anche in Verona, ed in qualche paese lungo la Riviera del Lago: ma che però del lago, delle barche, di Peschiera, e de' Castelli di Verona sono tuttora in possesso de' Tedeschi”.

Le autorità militari, civili ed ecclesiastiche erano fuggite: il Gen. Loudon per Valsorda verso Bassano, il Baroni con le casse verso Bolzano ed il Vescovo a Gorizia. Per le popolazioni la conseguenza immediata dell'occupazione fu la richiesta d'un pesante contributo. “Il 18 (gennaio) il Proclama, e l'avviso da Trento, che i Francesi dal Tirolo italiano vogliono 400 mille Fiorini; che alle 7 Pievi ne toccano 26 mille, ed alla sola Rendena 4 mille e più; e giacché non abbiamo nel Paese altra moneta che poche Cedole di Banco, converrà spogliarsi anche di queste, e restar senza alcuna sussistenza. A1 confronto pero de' paesi limitrofi noi stiamo ancora bene, perché i Paesi dove passarono sono assai più rovinati del nostro. II 20 Gennaio è venuto l' ordine, che vogliono 8 bovi da ammazzare, e poi 100 muli, per condur 100 Some biada da Storo a Trento”.

Si vivono ore difficili, quasi d'angoscia. I responsabili delle comunità si danno da fare per rappacificare l'invasore raccogliendo almeno parte della somma e presentando una comune supplica. Scrive ancora I'Ongari: “II 2 febbraio vi fu Consiglio di buon mattino e giunse lo ordine che nelle Sette Pievi i Francesi volevano i quartieri per 500 Cavalli, e in Rendena 120; ma per grazia del Cielo neppur questi sono venuti”.

A forza di suppliche e preghiere la Contribuzione ingiunta dai Francesi al Tirolo Italiano fu diminuita d'un terzo; e così invece di 300 mila Franchi si accontentarono di 200 mila, ma a condizione assoluta che questi venissero sborsati in moneta sonante d'oro e d'ar­gento e non in “cedole di banco”.

“Sul Foglio del 4 Febbraio ci fu data notizia essere stata conchiusa la Pace a Luneville tra i Plenipotenziari Conte Cobenzel, e Giuseppe Bonaparte; ma che nel tempo stesso fu prorogato l'armistizio per tutte le armate di altri giorni 30, cominciando dai 3 febbraio.

Fino il 15 Febb., ultima Domenica di Carnovale, abbiamo avuto un buon inverno con poca neve, e poco freddo, poiché la poca neve caduta in dicembre era già quasi affatto sparita; ma in detto giorno, e notte susseguente ha fioccato di nuovo e poi dopo ha piovuto qualche giorno e successe tal bonaccia che le strade erano impraticabili. Le critiche circostanze di guerra, e di penuria hanno veramente sbandita la voglia di danzare, e di andare in maschera”.

Tra i documenti dell'epoca conservati nell'archivio parrocchiale di Vigo Lomaso, ne troviamo uno datato 17 febbraio, nel quale la Comunità del Lomaso rivolge la seguente domanda al Vescovo di Trento, dopo aver informato il Parroco delle richieste in oggetto: “.. La siccità e le spese della guerra, hanno ridotto buona parte degli abitanti ad una vera indigenza e per sopracarico il Ciel permise, che l' armata Francese venisse qui a consumare que' pochi viveri, che sufficienti erano per alimentarsi due mesi.

E pur vero che la nostra comunità del Lomaso per favorire i bisogni ha eretta procura per vendere uno o più censi alIa somma di Fiorini 2000, ma non fu possibile trovare persona che si presti allo sborso.

Ora il bisogno incalza, ed altro rimedio non sappiamo ritrovare, che quello di ricorrere a V.S. Stim.ma e Rev.ma, acciò ci conceda la licenza di vendere 6 candeglieri, la croce, e le lampade d'argento, ch'esistono nella Parrocchiale del Lomaso, previo il peso e l’obbligazione che farà la Comunità in forma pubblica di farne la restituzione con modello più usitato, terminate che saranno le miserie cagionate dalla guerra, e siccome abbiamo notizia, che vi sono molti avanzi d'entrate delle Chiese, supplichiamo pure, acciò sia concesso ai Sindaci ed amministratori di dover dare tali avanzi alla Comunità che si obbligherà alla restituzione, affine di poter supplire al pubblico bisogno ... “

Il Vicario Generale, con scritto del 10 marzo 1801, autorizzava il Parroco alle vendite “intesi prima gli abitanti delle singole frazioni e con il consenso dei rispettivi fondatori o più donanti della argenteria, ma che abbia a servire a sollievo dei soli poveri”.

E le tristi annotazioni dell' Ongari continuano: “Ai 18 febbraio la Rendena ha dovuto dare ai Francesi tre vacche”. E poi ancora: “I Francesi seguitano a tormentarci. Ai 28 si ha dovuto spedire loro due vacche, e fieno, e pane; e qualche giorno dopo il Sindaco Antonio Maestri di Caresolo ha dovuto portargli a Trento Fiorini 600, cioè 3000 troni per la terza rata della chiesta contribuzione; altrimenti era minacciata l'esecuzione militare”

Finalmente, con la primavera, arriva anche la notizia della pace di Luneville. “Non posso descrivere - commenta il Fiorio - il giubilo per si fausta notizia: l'aria eccheggiò di evviva e del suono delle militari musiche, le campane suonarono a distesa e da lontano rimbombarono frequenti salve di cannone. Furono fatte anche lumi­narie. Noi speriamo di poter godere finalmente di quella pace beata che è  sospirata da tutti i buoni”.

A Trento una pattuglia di corrieri a cavallo attraversò la città agitando rami di ulivo e gridando “Pace, Pace”.

II Gen. Macdonald chiamava il Capitolo della Cattedrale per la consegna immediata del Principato, e col 30 marzo faceva partire verso la Lombardia a scaglioni la sua armata; il 3 aprile se ne andava lui stesso con il comando.

Durante l'occupazione Francese molti comuni avevano abolito gli odiosi dazi con la Lombardia e col Veneto, che rincaravano Le farine ed i grani. Fu inviata anche una deputazione a Vienna per un'udienza con l'Imperatore che la concesse il 5 febbraio. La deputazione potè descrivergli la triste situazione del Tirolo, in parte ancora occupato dai Francesi e terribilmente impoverito dalle requisizioni e dalle contribuzioni di guerra; chiese un aiuto in granaglie per nutrire le zone di montagna, le più bisognose, fino al nuovo raccolto. Di fatto si fecero presto grosse spedizioni di grano verso il Tirolo, “somministrando alle comunità ogni sorta di grani e di farine con respiro senza supporto, anzi ai poveri questa medesima granaglia fu generosamente donata”

II cronista giudicariese così ricorda questo evento: “Ai primi di marzo, il Sig. Presidente Cavalcabò - il Gran Capitano - scrisse da Bolzano alle Pievi, che era giunta colà una gran quantità di biada proveniente dalla Baviera, e spedita da S. M. l'Imperatore per soccorrere questi poveri paesi, e che perciò dopo la partenza de' Francesi potevano subito insinuarsi, e mandar a prendere la loro quota. Questa consisteva in frumento, segala ed orzo, col patto di pagarla entro tre anni prossimi.

Le altre Pievi hanno scritto soltanto delle lettere, ed hanno avuta la loro parte; ma Rendena piu illuminata, e meglio regolata dubitando che questa biada sia troppo a buon patto, ha voluto spedire a Bolzano de' Deputati, cioè il Sig. Dottor Cavoli con altri due uomini, che sono stati via 15 giorni a fare i loro interessi, e così tra le giornate de' Deputati, ed i Consigli fatti a tal oggetto, ha voluto pagarla assai di piu. La quota di Fisto consistente in 9 some e arrivata il 31 Marzo ed ai 3 Aprile fu ripartita e distribuita super capita, e ne toccarono Libre 10 per persona”.

La situazione alimentare doveva essere estremamente difficile perché per la prima volta i contadini di Spiazzo Rendena, ch'erano soliti dare al Predicatore Quaresimalista una scodella di frumento e due uova, “considerando la gran penuria che regna nelle famiglie, gli hanno costituito una somma fissa della borsa comunale, ed egli l'ha accettata”

Anche nella casa del Notaio e presente la lamentata penuria.

“Il 18 Aprile passarono per Tione 400 Francesi provenienti da Trento, ed istradati verso l'Italia, e Rendena ha dovuto dar loro un toro, e del pane; ma si teme assai, che questa robba se la godano i Tioni, e non già i Francesi.

Le miserie crescono di giorno in giorno, perché polenta non se ne può avere in alcun modo; e da mangiare non c’è altro. In Casa nostra per Grazia del Cielo vi e sempre stato pane per tutto l'anno; ma questa volta l'abbiam finito fino dai 20 febbraio, e bisognerà restar senza fino al prossimo Agosto; cioe pel tratto di cinque mesi, e più, perché non se ne puo avere; non vi e in Casa un pugno di grano da far menestra, ne fagiuoli, ne ceci, ne panizzo, ne riso, ne orzo, e per ciò, sera e mattina, sempre bisogna mangiar farina (di granoturco, N.d.A.”.

“Siamo al 9 di Maggio, ma non tutti, perché quasi ogni giorno vi e qualche obito. Sia perché mangiano troppa erba, o qualche erba nociva, o perché mangiano polenta con tutta la crusca, i Contadini in genere sono tutti tristi, e molti si ammalano, e in pochi giorni vanno alIa sepoltura. Sono stato incommodato ancor io dagli ultimi d'Aprile fino ai 16 Maggio da un fiero dolor di stomaco, e tosse; ho preso l'olio di Mandorle, poi un emetico, dopo un Purgante di Manna, e Rabarbaro, due emissioni di sangue, e finalmente dal 16 fino ai 25 Maggio ho bevuto i Siroppi di cicoria, d'altea, e di bardana, e mi so no ricuperato”

“II 10, 11 Luglio col denaro alla mana non si poteva aver ne farina, ne pane in alcun luogo. Quella di miglio si vendeva 18 al peso, e quella gialla 21.12, e in Trento quella di segala 12.10, e quella di frumento 15 al peso; sicché abbiam dovuto mangiare diverse volte i gnocchi di erba impastati con poca farina a guisa di - strangola preti - come fa la più povera gente; ma con questa differenza, che invece delle erbe campestri, noi abbiam prese quelle dell'orto. Queste si fan bollire, e cuocere; poi si spremono, si pestano minutamente; si impastano bene con farina di frumento, e di segala, ed alcuni ovi; si fanno i gnocchi, si fanno cuocere, poi si conciano sutti con buttiro, e formaggio, e si mangiano. Sono di nutrimento assai, saziano ottimamente, e mantengono in forza chi ha da faticare, e si sparmia della farina in quantità.

II 10 Luglio e caduta una tempesta terribile nella Pieve del Banale, che vi era anche il giorno susseguente alta un ginocchio, ed ha rovinata tutta la Campagna; ma nelle Terre più basse cioe Villa, Premione, e nel fondo di Stenico non c'é arrivata”.

Provvidenza volle che la stagione estiva rimediasse in fretta ai danni subiti. In agosto, l'attento cronista giudicariese scrive che ci fu un buon raccolto e che la stagione continuava benissimo, con “molto bel tempo ed anche piogge frequenti a tempo opportuno. Si può dire che le cose vanno bene, perché si va abbassando il prezzo della farina, e anco le campagne sono belle, e si va avvicinando anche il raccolto del Giallo, miglio, panizzo, ceci, fagiuoli, ma intorno il 18 Agosto abbiamo dovuto vivere di solo pane, perché col denaro alla mano non si poté trovare ne farina, ne buttira, ne oglio”.

Esprime tuttavia una grossa preoccupazione: “Siamo arrivati al 24 Settembre, e non sappiamo ancora chi sia il nostro Principe e Padrone. E vera, che dal 2 Aprile 1800 fu eletto Principe, e Vescovo di Trento Monsignor Emmanuele de Thunn, ma non ha preso possesso; anzi e partito subito per Vienna e non è più ritornato. Un pezzo siamo stati governati dai Francesi, un pezzo dall'Imp. Reg. Consiglio Amministrativo, ed un pezzo dal Reverendissimo Capito­lo; ma ora si discorre che questo Principato verrà assolutamente secolarizzato, che Mons. Emmanuele dovra contentarsi d'essere puramente Vescovo. Per noi sarebbe assai meglio che venisse un Principe grande, assoluto,e potente, e che conchiudesse un Trattato di Commercio colla vicina Repubblica Cisalpina di dargli vicende­volmente i generi necessari, cioé noi all'Italia legnami, pascoli, e bestiami, e l'Italia a noi la biada, ed il vino, altrimenti noi siamo rovinati affatto, perché non vogliono darci alcuna sorte di grano, o con dazi molto gravosi”.

L' anno 1801, che era iniziato con 1'invasione francese e minacciava di diventare uno dei tristissimi anni vissuti dalle popolazioni, si concluse fortunatamente con un autunno ricco di raccolti e di promesse. A portare un'ulteriore nota di fiducia concorse la visita dell'Arciduca Giovanni d'Austria, fratello dell'Imperatore.

Era la personalità di casa d'Austria più conosciuta nel Tirolo, quella che destava più simpatia. Arrivò alla fine di ottobre da Madonna di Campiglio in visita alle comunità delle Valli Giudicariesi. Si fermò a Pinzolo, a Spiazzo, salutato dal suono delle campane e dallo sparo dei mortaretti. Lesse con viva soddisfazione quanto il notaio Ongari scrisse, a mo' di petizione, a carattere maiuscoli, ben visibili, a lato del ponte, sul quale transitava con il suo seguito:

  

“Altezza Reale                                                                  Arciduca Giovanni

Fra questi alpestri monti

Abitati da poveri pastori

Non aspettate onori

Perché mancano i fonti

Ma per prova d'amore

Vi tributiamo il Cuore

Dite al Fratel Sovrano

Che a questa fida gente

Volga il guardo Clemente

Privi di vino, e grano

A Lui facciam ricorso

Per ottener soccorso

 

E l' altra scritta in latino:

“Augusto Principi Joanni

Archiduci Austriae

Francisci Secundi Caesaris Augusti

Fratri Sexto hinc Transeunti

Nono Kal. Novembris MDCCCI

Felicissimum iter”,.

L'Arciduca volle copia degli scritti; dimostrò di gradire sommamente il mazzo di garofani offertigli da una fanciulla perché se li mise perfino sul cappello. Continuò il suo viaggio, suscitando entusiasmo e consensi dappertutto, fino a Tione e poi fino a Riva del Garda. Non passò per Trento, ma si inoltrò direttamente verso la Valsugana, perché l'istituzione, su iniziativa del Gen. Francese Macdonald, della milizia cittadina, affidata poi dal Capitolo al Magistrato consolare, non aveva incontrato l'approvazione del governo austriaco. Fu vista come ostentata affermazione d'un potere autonomo inesistente o al tramonto: la secolarizzazione del Princi­pato stava ormai per avere pubblica e solenne sanzione.

 1 8 0 2

 

L'anno prometteva bene. II governo capitolare, a conoscenza delle difficili situazioni della maggior parte delle comunità, aveva sollecitato e facilitato la distribuzione di granaglie ai paesi poveri ed aveva autorizzato i comuni a ridurre le “steure”, le contribuzioni ed i dazi.

L'Europa viveva alcuni mesi di pace: Napoleone era impegnato a consolidare il suo trono, a portar ordine in Francia e a non infastidire oltre i Paesi europei.

Ma durante l'estate il flagello della siccità. si abbatte sulle vallate con un caldo torrido che durò da fine luglio a fine agosto, per 33 giorni, senza pioggia. Furono compromessi i raccolti ed anche la fienagione. In ottobre arrivarono le piogge che furono però così frequenti ed abbondanti da essere di danno, in Val Giudicarie, anche alle tre fiere di Tione, cosidette dei “Termini”, nelle quali i contadini intendevano alleggerire le stalle per il periodo invernale con la vendita di qualche capo e fornirsi di un po' di danaro.

Anche il bando dato ai “tronetti”, cioè alla moneta di metallo dichiarata fuori corso, mise in angustia vari settori della vita economica. Chi aveva debiti, correva a pagarli con questi pezzi prima che scadessero in valore, ed i creditori li accettavano naturalmente molto malvolentieri. I commercianti poi ed anche i semplici bottegai, per non incassarli, raddoppiavano il prezzo delle merci. Il disagio fra la gente fu grande perché per il momento non c'era altra moneta minuta all'infuori dei “tronetti”.

L' anno 1802 segno inoltre la fine del Principato Vescovile di Trento. In novembre entrava in città il Conte Ferdinando di Bissingen con una truppa imperiale di granatieri, e il 12 dichiarava apertamente al Capitolo della Cattedrale che Sua Maestà l'Impera­tore lo aveva inviato come Commissario Plenipotenziario ad assumere immediatamente il possesso del Principato di Trento e di tutte le proprietà, sia del Vescovo che del Capitolo stesso, il quale da questo momento doveva considerarsi decaduto da ogni potestà. Al suo posto creava un Consiglio provvisorio di reggenza: terminava cosi i1 secolare governo del Principe Vescovo di Trento nel Tirolo Meridionale.

 

1 8 0 3

 

Arrivò il solenne proclama dell'Imperatore d'Austria, letto il 6 marzo in tutte le parrocchie, con i1 quale si notificava ai sudditi dei Principati di Trento e di Bressanone che l'Imperatore acquistava “il pieno, assoluto ed immediato dominio dei due Distretti e li univa alla restante Provincia del Tirolo”.

“Noi Francesco II, (omessi i titoli e per la grazia di Dio)

Annunziamo a tutti i sudditi ed abitanti dei due distretti di Trento e Bressanone di qualunque grado e condizione, senza eccezione veruna, la nostra grazia e ogni bene, e facciamo ai medesimi noto, come qualmente in seguito alla convenzione conchiusa tra Noi e la Repubblica Francese il 26 dicembre 1802, abbiamo occupati e pienamente e immediatamente uniti al restante della nostra fedelissima provincia tirolese, i distretti di Trento e di Bressanone con illimitata superiorità territoriale della quale i diritti principali già prima ci competevano in qualità di conte principesco del Tirolo. Noi dunque ci attendiamo da tutti i sudditi e abitanti d'ambedue i distretti una inviolabile fedeltà ed ubbidienza a gara coi sudditi del restante Tirolo che presteranno a Noi e ai nostri successori ereditari del Trono, come pure alle superiorità da Noi costituite o da costituirsi, tra le quali le fin ora esistenti locali d'ambedue i distretti, fino ad ulteriore nostra suprema determinazione, restano graziosamente confermate.

Con ciò i nostri Fedeli sudditi si renderanno sempre più meritevoli della nostra sovrana protezione e paterna benevolenza della quale li assicurano.

Dato nella Nostra capitale di Vienna, lì 4 febbraio 1803”

Naturalmente il proclama e la conseguente occupazione del Principato suscitarono proteste, discussioni e dissensi in molti settori, che però alla fine non risultarono di alcun effetto. Le popolazioni erano ansiose di uscire da uno stato di incertezza che durava da sette anni e che faceva apparire il passato governo impotente nell'affrontare le tragiche situazioni createsi con le invasioni francesi. L'Austria appariva l'unica forza che potesse opporsi con successo alla boria Francese. E purtroppo si vide ben presto con quali mezzi.

L' autorità militare operò immediatamente e con maggior fermezza di quella civile.

Una delle prime conseguenze fu quella di approntare già nella prima meta di maggio, in ogni comunità, la lista di tutti gli uomini abili alle armi dai 18 ai 50 anni. Si doveva ripristinare la Milizia Provinciale Tirolese, secondo un decreto imperiale del 22 agosto 1802.

Ad ogni comunità venne segnalato il numero dei soldati richiesti, che si dovevano estrarre a sorte tra gli uomini abili. il tradizionale metodo usato d'estrazione e descritto con pochi vivaci tocchi dal notaio Ongari a riguardo della Comuniti di Fisto.

“Lì 23 Maggio nella Piazza qui di Fisto furono posti in bussola tutti i 90 uomini coscritti per la Milizia urbana del Tirolo, e furono estratti a sorte i cinque Fanti, che toccano a questa Comunità per inserirli nel ruolo di detta Milizia.

L'estrazione e riuscita benissimo senza alcuna lagnanza, sconcerto, mediante 90 biglietti simili, piegati, e chiusi in una scatola, che contenevano i nomi e cognomi, e 90 fagiuoli uguali, 85 bianchi, e 5 neri, chiusi in un sacchettino, che si estraevano simultaneamente da due piccioli ragazzi”

Due Consiglieri tenevano la scatola dei biglietti e il sacchetto dei fagioli e li scuotevano ogni volta che uno dei ragazzi estraeva un biglietto, mentre l'altro levava un fagiolo. Il nome del biglietto, cui toccava un fagiolo nero, era destinato per la Milizia. Ai “miliziotti” estratti la Comunità si impegnava a dare a ciascuno dieci “traeri” al giorno, e altri 6 una tantum perché facessero un bel pranzo insieme.

Una novità trovò consensi; l'abolizione di pagare in natura “la decima” che nei secoli passati veniva corrisposta al proprietario dei terreni. Al momento della mietitura si doveva attendere che i “De­cimani” a ciò incaricati venissero e si portassero via dal campo la loro quota, che era appunto la decima parte. D'ora in poi si cominciò a pagarla in danaro, il che facilitò i rapporti tra proprietari, locatori e sublocatori.

Fu annata buona per le frequenti piogge. Nota I'Ongari: “Si è fatto un buon raccolto di tutto. Delle noci poi, che per tre anni consecutivi a cagion delle brine non se ne aveva raccolto neppure una, quest'anno per grazia del Cielo vi fu grande abbondanza, e ne fu condotta gran quantità e di noci e di olio anche in Val di Sole ed in Italia”

 

1 8 0 4

 

Dai numerosi decreti emanati dall'Autorità Centrale in questo periodo si ha l'impressione che un nuovo vento di austerità avesse iniziato a soffiare sui due principati, di netta “marca Giuseppina”. L’autorità civile aveva deciso misure “da polizia del buon costume” che sorpresero non poco le popolazioni.

Nella quarta domenica di gennaio fu pubblicato un proclama che proibiva le maschere e i balli, poi seguirono altri editti e regolamenti per la disciplina dei matrimoni, per i1 controllo di tutti i giochi d'azzardo, per l'abolizione di ogni arma da taglio non snodata.

Furono sospesi i giudici rurali e introdotte nuove misure ammini­strative, che iniziarono coll'imporre ad ogni comunità un inventario “di tutti gli uomini, donne, nobili, preti, muli, cavalli, manzi e vacche esistenti nei paesi, di tutte le case e delle eventuali possibilità d'alloggio del militare”.

Verso la fine dell'anno, per ragioni sanitarie, a causa di un' epidemia, quella della febbre gialla che era scoppiata in Ispagna ed aveva fatto strage anche in Italia, specie in Toscana, furono distribuite compagnie di un intero reggimento di soldati, da Rovereto a Riva, Arco, Storo, Condino, Tione, fino al Tonale, per costituire un cordone di difesa. Giorno e notte, nei punti di passaggio, vigilava una guardia che aveva l'obbligo di fermare “ogni persona straniera o  sconosciuta, che venisse da lontano o non avesse l' attestato di sanità”.

“Qui a Fisto - racconta il notaio Ongari – è arrivata una compagnia del Reggimento Neigepover n. 46 ... C'erano anche tre o quattro italiani, e specialmente il Sig. Sargente, che abitava in Casa di Giacomo Chesi Mortasin. Era un certo Sig. Giuseppe Vendel figlio d'un oste milanese, che da 12 anni si era arruolato in Milano nel Reggimento Belgioioso. Tutte Le Feste intervenivano alla Messa circa le otto di mattina, e cantavano in Tedesco i Cantici di Gloria; e vi andavo molto volentieri anch'io, e tanti altri per vederli così puliti, ed in bello ordine, e per sentirli a cantare; il primo che intonava i Cantici era il Suddetto Sig. Sargente, ed una volta gli ha cantati sull'orchestra accompagnati coll'organo, e sotto voce lo accompagnai anch'io facendo da Basso”.

Non capito alcun fatto straordinario nelle valli durante tutto il 1804 ed anche il pericolo della febbre gialla scomparve con le prime nevicate.

 

1 8 0 5

 

L' anno iniziò con tali abbondanti nevicate da compromettere la sicurezza delle case. La gente salì più volte sui tetti a buttar giù neve, ma ciò nonostante molte coperture cedettero con grande danno e spavento. “In simili circostanze - commenta Ongari - si scopre che è una gran bella cosa avere una casa isolata e distante dalle altre, ... poiché in simili frangenti si può lavorare con tutta liberti, senza impedire ne alcuna strada, ne recar danno ad alcuno”.

Costò lavoro e grossi oneri la praticabilità delle strade, perché le comunità dovevano provvedere a tener libere “le strade imperiali”.

Con il ritorno della buona stagione “arrivarono a tutte le comunità nuovi proclami: uno che proibiva l'acquisto di bestiame bovino, ad eccezione di quei capi necessari per coltivare la campagna ... L'altro riguardante i Cemiteri, cioè che questi debbano essere fissati, e trasportati in luoghi distanti dall'abitato, che le Fosse debbano essere profonde sei piedi, larghe quattro, e distanti l'una dall'altra piedi tre, e che ogni cadavere appena sepolto debba essere coperto prima di calce, poi di terra. Ottima Provvidenza da me assai desiderata per la purità, e la salubrità dell'aria.”

II notaio Ongari ricorda con commozione la solennità del Corpus Domini, ai 13 giugno, perché “la giornata fu bellissima ... ed anche il militare concorse a decorarla, poiché tutta la compagnia qui stazionata accompagnò in bello ordine la Processione, e fece anche diverse scariche. La polvere costo troni cento e cinque, dico tr. 105 e furono pagati da Benefattori e raccolti da me Notaio”.

Non mancarono tuttavia di comparire nuvole nere, di tristi presagi. Le misure militari si fecero frequenti e pesanti. A Molveno in località Rocca, il Comando Militare fece apprestare nuovi fortilizi. Ogni valle fu obbligata a fornire un determinato numero di esperti muratori, un centinaio di manovali e alcuni carri. Le retribuzioni, a carico della Cassa Regia, erano di troni 3.10 al giorno per il semplice operaio, di troni 4.10 per il muratore e di troni 15 per ogni carro.

“Si teme molto di una nuova guerra - continua I'Ongari ­ed assai terribile, mentre le Truppe Austriache si aumentano da ogni parte, e vanno sfilando verso i confini; anzi le sera de' 16 settembre alcuni soldati sono andati anche verso la Valle di Genova, e furono posti di nuovo i picchetti a S. Valentino.

L'11 ottobre è venuto a quartiere in Rendena tutto il Reggimento d'Infanteria Kerpen, e fu distribuito come segue, una Compagnia in Villa e Verdesina, una Compagnia in Fisto, ed una Compagnia in Bocenago e Strembo; ma ai 13, tre ore avanti giorno, sono partiti tutti verso Molveno.

Lo stesso giorno degli 11 si ha dovuto spedire diversi Carri, e Muli, fino a Trento per condurre qui le Pagnotte. La sera del 13 ne sono arrivati circa 600 a Pinzolo provenienti dalla Val di Sole per la strada di Campiglio, e furono ivi acquartierati; ma ai 14 ritornarono in Val di Sole. Al 14 circa mezzodi, provenienti da Tione arrivarono a Spiazzo circa 400 uomini di Fanteria, ma subito proseguirono il loro viaggio verso Campiglio e verso Tonale ... “.

Nella tarda estate il centro Europa tornò ad essere nuovamente teatro di guerra. L'Austria, che aveva aderito alla terza coalizione con Inghilterra, Prussia e Russia ed era impaziente d'una rivincita, iniziò le ostilità nel settembre 1805 e, per sorprendere Napoleone che si trovava nel Nord della Francia, invase la Baviera senza attendere l'arrivo dell'alleato russo. Ma fu Napoleone, con un rapido spostamento delle sue truppe, a sorprendere gli Austriaci a Ulma e ad infliggere loro una durissima sconfitta. Poi marciò direttamente su Vienna e la occupò. Colse il 2 dicembre 1805 una seconda strepitosa Vittoria ad Austerlitz contro le forze austro-russe, obbligando l'Imperatore d'Austria a chiedere I'armistizio e ad iniziare trattative per una pace che sarà durissima: dovrà cedere il Tirolo alla Baviera e il Veneto e l'Istria con la Dalmazia al Regno d'Italia.

Il Tirolo fu investito dagli orrori di quella guerra solo marginalmente. Mentre Napoleone, dopo Ulma, era in cammino su Vienna, il Generale Massena, che comandava l'armata francese in Italia, varcava l'Adige a Verona all'inseguimento dell'Arciduca Carlo, fratello dell'Imperatore, che intendeva accorrere alla difesa della capitale. A Trento transitò dalla Venosta un grosso reparto austriaco che dopo il disastro di Ulma si era ritirato verso a Tirolo, con lo scopo di congiungersi poi a Bassano con l'Arciduca Carlo; colà si imbatte invece nei Francesi e presso Castelfranco fu sconfitto e in gran parte fatto prigioniero.

All'inseguimento di questo reparto e con l'intento di occupare Innsbruck Napoleone aveva inviato a Generale Ney, che quando si trovò nel Tirolo fece per la prima volta conoscenza con le popolazioni in armi, in difesa della loro terra. Sorpreso e arrabbiatissimo, si rivolse al Sindaco di Seefeld con queste parole: “Voi siete una turma di montanari imbecilli! Perché dunque vi state ad intrigare della guerra?”. II Tirolese gli rispose: “La nostra costituzione obbliga ogni cittadino a prendere le armi quando il paese viene assalito da un nemico”. Non volle prestarvi fede fin tanto che non gli fu posto sotto gli occhi a testo del Libello dell'Undici. Allora esclamo: “Questa e una costituzione fatale!”.

All'avanguardia il Ney aveva il reggimento del Colonnello Colbert, che, arrivato a Trento il 22 novembre, pretese dalla città una immediata contribuzione di 60.000 fiorini. II notaio Ongari chiude questo capitolo di storia con le parole: “Al 4 dicembre siamo stati al Foro, e la si sentì la nuova, che i Francesi avevano chiesto al Circolo di Roveredo una Contribuzione di 200 Milla lire Tornesi, ridotte a 150 Milla, che fanno circa Fiorini 65 Milla, e che di questi alle Sette Pievi ne toccavano 15 Milla; ma tutte le Giurisdizioni si sono scusate, e commiserate, che non sono in grado, e non sanno in qual maniera formare tale somma.

AI 12 detto è arrivato il Gratissimo Manifesto del Gen. Massena Maresciallo dell'Impero Francese in Italia diretto al Governo di Trento, col quale dichiarò che non si doveva sborsare alcuna contribuzione, se non veniva ricercata da esso in persona, o con qualche ordine in iscritto munito della sua sottoscrizione, e del suo proprio sigillo; perciò ringraziato sia il Cielo, che questa volta l'abbiam risparmiata”

Per quel tempo e in quelle circostanze era già una grossa consolazione.

 

1 8 0 6

 

II 26 dicembre 1805, con la pace di Presburgo, il Tirolo con gli annessi Principati di Trento e Bressanone passava sotto il dominio del Duca Massimiliano di Baviera dell'antica famiglia dei Wittelsbach, che più d'una volta era stata rivale degli Asburgo nel contendere il primato del Sacro Romano Impero Germanico. Il Duca, nella guerra franco-austriaca del 1805, si era avvicinato alla politica Francese ed aveva favorito il passaggio dell'armata di Napoleone appoggiandola con il suo piccolo esercito. Ottenne così in premio notevoli vantaggi territoriali. Accondiscese volentieri alla richiesta che la “bella, saggia e virtuosa” figlia Augusta Amalia andasse in risposa del Viceré d'Italia, Eugenio. E cosi il padre, Duca Massimiliano, all'inizio di gennaio fu proclamato Re.

L'annessione alla Baviera arrivò inaspettata, colse di sorpresa tutti e non trovò consenso nemmeno tra coloro che avevano qualche simpatia per la Francia. In modo particolare Le popolazioni del Tirolo tedesco accolsero con profondo malanimo la notizia che erano state staccate dal grande Impero austriaco e legate ad un principe considerato traditore per l'aiuto prestato a Napoleone; quelle trentine guardarono con rassegnato realismo al baratto avvenuto, desidera­vano soprattutto una lunga pace, anche se, specie nelle zone meridionali, avrebbero preferito un'unione con il regno milanese.

II Re di Baviera con un proclama del 22 gennaio dichiarava il Tirolo annesso “auf ewige Zeit, in eterno”, al suo scettro e prendeva possesso di Trento 1'1 febbraio 1806 tramite il Capitano Conte Giovanni Nepomiceno Welsperg, ex commissario austriaco e ora delegato del governatore generale del Tirolo, Conte Carlo d'Arco. L' editto di S.M. Massimiliano Giuseppe I Re di Baviera, col quale si dichiarava legittimo sovrano del Tirolo, venne letto nelle chiese del Trentino. Si fece buon viso a cattivo gioco ed in tutte le Pievi fu celebrata, il 23 febbraio, la Festa dell'annessione. Napoleone pareva invincibile, era all' apogeo della sua potenza, e il popolo desiderava tranquillità senza altri sconvolgimenti politici e scontri d'eserciti e mobilitazioni di compagnie.

II governo bavarese opera rapidamente con numerose drastiche disposizioni portando nel Trentino gli ordinamenti politici, econo­mici e militari che erano in atto nella Baviera ed organizzando così un' amministrazione pubblica che, se in alcuni settori della vita sociale recava benefiche innovazioni, sotto altri aspetti concentrava nell'au­torità dei funzionari statali, molto autoritari, quello che prima era in gran parte di spettanza comunale. II che non piacque affatto.

II guaio maggiore dell'annata capita con una forte svalutazione delle monete in corso. Nel Tirolo circolava valuta austriaca che si trovava in quel momento soggetta a forte fluttuazione, anche per grosse operazioni di speculazione. Il governo bavarese intervenne con una politica finanziaria inattesa che suscitò le critiche dello stesso governatore del Tirolo, Conte d'Arco.

In luglio fu pubblicato in ogni paese un editto del Re Massimiliano di Baviera, dato in Monaco i1 26 giugno, con cui le valute in carta di uno scellino venivano ridotte di quasi meta valore. Un Fiorino del valore nominale di 60 carentani fu così svalutato a 37 e furono dichiarate fuori corso le monete spicciole austriache come i mezzi troni e i traeri. In agosto arrivò l'altro avviso, datato 26/VII, che si doveva conteggiare solo a fiorini e carantani: ciò si riflette negativamente sul mercato e ne derivò un'enorme confusione negli affari. Il denaro in circolazione si fece scarso e le fiere d'autunno restarono quasi paralizzate creando per il momento nuove miserie e crisi angosciose. La svalutazione ovviamente colpì coloro che ave­vano qualche cosa: con un colpo di mano autoritario si ritrovarono con un patrimonio svalutato di un terzo o della meta. Donde tanta rabbia contro l'autorità bavarese, anche se in seguito la riforma va­lutaria apportò degli effettivi vantaggi facendo circolare una valuta più forte e più sicura, in argento e oro.

Alcuni ordinamenti giovarono alla vita del paese: i comuni dovettero provvedere alla illuminazione delle contrade principali, i proprietari di case a lato di strade postali furono obbligati a mettere le gronde ai tetti per la raccolta dell'acqua ed a selciare la strada per tutta la lunghezza della casa. Con decreto del 20 gennaio furono rese obbligatorie e meglio organizzate le scuole comunali per i fanciulli dai 6 ai 12 anni.

II basso popolo apprezzò leggi che abolivano dazi, pedaggi, decime e primizie, e certe prestazioni gratuite di servizi e di lavori che erano un atavico residuo dell'epoca feudale.

Accettò con malavoglia la tassa del “testatico o Kopfsteuer”, l'imposta sul reddito personale per il mantenimento delle truppe d'occupazione. Il Governo, alla ricerca di danaro, pensò che era più opportuno tassare gli individui che non gli “stati” e le comunità come si faceva per il passato. Aveva bisogno di oltre 300.000 fiorini all'anno e li ottenne obbligando ogni cittadino, da 15 anni in su, a versare una determinata somma sulla base del patrimonio. I cittadini furono divisi in 11 classi o categorie: nella prima, la più numerosa ma anche la più povera, un uomo doveva versare 6 corone, la moglie 3, il figlio 2. Nell'undecima, la meno numerosa, l'uomo pagava 50 fiorini all'anno, la moglie 40 e il figlio 16.

Il popolo imprecò, e non poco, perché non sapeva cosa farne di un esercito in tempo di pace. Accolse invece con simpatia che venissero fissate aliquote in base ai beni e di conseguenza fossero maggiormente colpiti i grossi proprietari. Se questi si lamentavano, il popolo approvò che finalmente un governo avesse fatto giustizia chiamando tutti a pagare in proporzione alla proprietà.

Si indispettì assai invece per la tassa sul vino, cioè che per ogni “mossa” di vino venduta si dovesse pagare un carantano. Ovviamente in Baviera la tassa sul vino poteva trovare una giustificazione per la protezione da darsi alla produzione della birra. Ma nel Trentino, dove migliaia di contadini di ogni valle fornivano del loro prodotto tutte le osterie ed i negozi, il vedersi controllato un commercio che non aveva mai conosciuto tassazione, suscitò immediate reazioni contro gli impiegati che numerosissimi, secondo la cronaca, “si recavano come sgherri nelle cantine a misurare il vino, a sigillare le botti, a controllare e multare quando i sigilli erano saltati”. Il settore contadino si sentì colpito per la prima volta nel suo piccolo mondo privato. “A casa mia entra il vento ed il sole, ma non ci mette piede nessun re”, era il detto tramandato dalle generazioni con legittimo orgoglio; ed ora si doveva tollerare che gente estranea entrasse di prepotenza perfino nelle proprie cantine.

 

1 8 0 7

 

Per il passato intimazioni e mandati di pagamento ai singoli cittadini venivano fatti a mezzo dei “messi curiali”, cioè di messi comunali, d'ora in poi divennero di spettanza della gendarmeria, la quale per atti anche in loco pretendeva all'istante 10 “traeri”.

“Povere Pievi! - commenta al riguardo il cronista Ongari ­per il passato hanno fatto tanti ricorsi per ottenere che anche le effettive esecuzioni e l'incasso di un pegno venisse fatto dal solito Messo della Curia a tutti già noto e conosciuto, e pratico del paese, e non già dai birri, che con la loro comparsa improvvisa, e colle loro armi spaventavano le donne, e i fanciulli, e da qui innanzi dovremo ogni momento avere i birri nel paese, e sulle porte, non solo in occasione di qualche esecuzione, ma anche ad intimare i mandati, ed Ordini giudiziali! Questa senza dubbio sarà una cosa molto spiacevole, e disgustosa per tutti questi popoli; ma ci vorrà pazienza, e tollerare anche il peggio!”.

Inoltre, con il mese di gennaio fu pubblicato che “Sua Maestà per dare alla Provincia del Tirolo una organizzazione uniforme agli altri suoi Stati si è clementissimamente compiaciuta con suo sovrano rescritto del 21 novembre passato” di dividere il circolo di Rovereto in tre Giudizi distrettuali, quello di Rovereto, di Riva e di Tione con due Amministrazioni in Rovereto e Riva. Venivano così abolite secolari autonomie comunali perché considerate intoppi e barriere nella costruzione del nuovo stato illuminista e accentratore.

Alle Amministrazioni spettava la riscossione delle imposte e il controllo di tutti gli uffici daziali, stradali e vinari della zona. Al Giudizio distrettuale veniva affidata l'amministrazione della giustizia, sia penale che civile, il controllo dei beni comunali, delle scuole e di ogni istituto di educazione, il rilascio dei passaporti, ogni problema inerente la vita civile ed il matrimonio. Quello distrettuale di Riva comprendeva le giurisdizioni di Riva, della Val di Ledro, di Tenno, delle tre Pievi del Marchesato delle Giudicarie e di quelle patrimoniali di Penede, Arco e Drena. Al Giudizio di Tione spettavano le altre quattro Pievi delle Giudicarie, il Vicariato di Storo e la giurisdizione patrimoniale dei conti Lodron.

Dal Giudizio dipendevano anche gli affari ecclesiastici, in particolare la collazione delle parrocchie vacanti. E da qui prese forma il grave dissidio tra il Governo bavarese ed il Vescovo di Trento.

Praticamente il sacerdote tirolese, pur rispettato nel settore strettamente religioso della predicazione e dell'amministrazione dei Sacramenti, veniva trattato come un impiegato dello Stato Bavarese. Nel suo ufficio non poteva non essere un educatore di popolo, e pertanto doveva allinearsi con il progetto educativo dello stato illuminista. La seguente ordinanza, scritta in italiano sulla politica ecclesiastica bavarese, merita d'essere conosciuta per capire le intenzioni di un governo illuminista: “Avvertimento ai sudditi tirolesi!

... I vostri Pastori d'Anime non sono solamente Ministri della Chiesa; essi sono pure Istruttori e Consultori del popolo. Ed è quindi, che al Sovrano non può essere cosa indifferente, se questi vostri consultori siano anche Uomini degni. Essi godono i frutti dei Beni Parrocchiali, che dai Fedeli, e dallo Stato stesso furono fondati per il loro sostentamento; imperocché la Chiesa in se stessa non possiede Beni. Cristo e gli apostoli giravano bisognosi tra i popoli. Il mio regno non è di questo Mondo, diceva il Redentore. L'invigilare dunque che i Beni temporali pervenuti alla Chiesa con donazioni posteriormente seguite, non vengano goduti da persone indegne, egli è un dovere del Sovrano, imperciocché esso rappresenta i suoi Sudditi; esso rappresenta voi tutti, e voi tutti non potete voler altro, che quello che vuole il vostro Sovrano. Egli dispensa i diritti temporali, come il Vescovo dispensa i diritti ecclesiastici ... Innsbruck, n 20 novembre 1807 - Regio Commissario Bavaro generale del Tirolo, Carlo Conte d' Arco”.

Di conseguenza il Commissario Generale intervenne con una serie di leggi e di ordinanze che sorpresero e irritarono. Non si potevano ordinare nuovi sacerdoti senza che questi non avessero superato un esame abilitante all'Università di Innsbruck. Il Re arrogava a sé il diritto di nomina dei parroci nelle sedi vacanti; al Vescovo era permesso soltanto presentare una terna di nomi per tale nomina, ma anche la terna poteva esser respinta se non c'era l'individuo gradito alla corte. Le attività religiose furono regolate con speciali disposizioni che limitavano il suono delle campane e il numero delle candele, e proibivano cerimonie assai popolari e gradite come la messa di mezzanotte a Natale.

Erano disposizioni che offendevano la sensibilità popolare così attaccata alle sue tradizioni. La stizza contro il Bavaro fece presa anche nelle categorie della pubblica amministrazione. Da principio il Governo si servì di gran numero di funzionari dei passati regimi, tra i quali pochi conoscevano i1 tedesco. Ben presto tuttavia la conoscenza di questa lingua divenne un titolo preferenziale. Da qui il lamento emblematico del Notaio Ongari: “AI presente, chi vuole avere impiego e pane onorevoli, bisogna che conosca la lingua tedesca, altrimenti resta privo d'ogni carica. La cosa è tale in effetto, perche tanti esperti Notai oggi restano esclusi dal loro Uffizio, e vengono istallati altri remoti, e forestieri, unicamente perché sanno il Tedesco, poiché tutti i Dispacci, ed ordini, che vengono ai Giudici dal Governo, o dal Commissario del Tirolo, sono in Tedesco”.

Concludendo questa breve analisi dell'anno 1807 si può affermare che nel settore amministrativo furono introdotte valide innovazioni, ma che per il drastico modo e la severità con cui vennero imposte suscitarono forti reazioni. Crebbe tra le classi sociali l'antipatia per la Baviera “padrona” e si fece strada il desiderio d'un cambiamento. Pertanto al cronista Ongari, di solito così misurato nelle annotazioni, parvero ottime le notizie che arrivavano delle prime grosse difficoltà di Napoleone contro gli alleati della quarta coalizione: “Le notizie della guerra continuano ad essere favorevoli, poiché in una battaglia avvenuta il 10 febbraio si dice, essere restati morti 18 Generali Francesi, e Bavari, onde si deve credere, che vi sarà restata anche gran quantità. di soldati” .

La realtà era ben diversa; Napoleone, che aveva occupato Berlino e Varsavia, combatté si ad Eylau in una tempesta di neve contra i Russi una battaglia dall'esito incerto, ma in giugno li sconfisse clamorosamente a Friedland.

Passò anche l'anno 1807. Restò però a lungo tristemente famoso nella memoria della gente per l'epidemia delle “Ferse”, che nei mesi di maggio e giugno fu così violenta da portare alla morte moltissimi bambini e fanciulli. Famiglie intere restarono senza figli.

 

1 8 0 8

 

L'anno 1808 parve cominciare sotto migliori auspici per i festeggiamenti rivolti al Re Massimiliano di Baviera, che in compa­gnia del principe ereditario aveva fatto visita a Milano alla figlia Augusta, moglie del Viceré Eugenio. A Riva, Arco e Rovereto fu accolto in festa, con spari di mortaretti e luminarie, tanto da fargli esprimere “la sua soddisfazione per questi buoni e Fedeli trentini”.

Ma l'amministrazione dei territori continuava imperterrita ad imporre nuovi regolamenti nella vita sociale senza tener canto di usi e di tradizioni secolari. Era una pioggia frenetica di circolari e di ordinanze per ogni settore della vita pubblica e privata: una media di 17 decreti al mese, che i giudici distrettuali dovevano severamente applicare e controllare. Con decreto del 17 gennaio fu abolita la dieta provinciale con i quattro suoi stati, alto clero, nobili, cittadini e contadini. Il Tirolo fu diviso in tre grandi distretti, quello dell'Inn con capitale Innsbruck, quello dell'Isarco con capitale Bressanone e quello dell'Adige con Trento, affidato sempre al Commissario Conte Giovanni Welsperg.

Alle chiese fu imposto il nuovo regolamento delle Sacre Funzioni:

Le Sante Messe si dovevano celebrare unicamente all'altare maggiore, e solo nella prima domenica del mese era consentita l'esposizione dell'ostensorio per la benedizione finale; nelle altre domeniche si doveva usare la Sacra Pisside. In una delle messe erano prescritti canti “normali”, non più in latino, ma in lingua volgare. Furono abolite tutte le processioni devozionali, tranne quelle di San Marco, del Corpus Domini e delle Rogazioni, con l'obbligo di non allontanarsi più di un quarto d'ora dalla chiesa.

Per la Quaresima i fedeli, ch'erano abituati ad avere un predicatore straordinario, dovettero accontentarsi del loro parroco o curato; e nella commemorazione dei defunti fu interdetta ogni processione al cimitero, e perfino la benedizione delle tombe. Tutto doveva svolgersi in Chiesa e il suono delle campane che allora durava tutta la notte fu limitato a 7 minuti.

Anche l'insegnamento della dottrina cristiana fu disciplinato con un apposito decreto che obbligava i sacerdoti in Chiesa ed i maestri nelle scuole ad usare unicamente il testo catechistico dello Jais. Medici e chirurghi, che non avevano studiato presso un'università austriaca, dovettero sottoporsi ad un esame di idoneità presso I'Università di Innsbruck, ad eccezione di quelli più anziani e che godevano d'un sicuro buon credito.

Tra le novità degne di nota merita d'essere segnalata l'introduzione della carta bollata negli atti giudiziali e notarili, un'espediente inaspettato dell'erario pubblico alla ricerca di fonti d'entrata. Ma la legge che esasperò le valli è dell'autunno 1808 e riguarda la leva militare. I giudici distrettuali iniziarono l'anagrafe dei giovani dai 18 ai 23 anni, controllando i registri degli archivi parrocchiali e segnando poi la residenza dei vivi, ed inviando agli interessati la comunicazione di tenersi pronti per la chiamata al servizio nell'esercito. Con l'occasione la registrazione dei nati, dei morti, e dei matrimoni fu sottratta alle parrocchie e passò agli uffici comunali.

Per il resto, per quanto riguardava l'andamento stagionale, l'annata fu decisamente buona perché ricca di piogge durante tutta la stagione estiva. Già nel mese di luglio vi fu un' abbondante raccolta di ciliegie, soprattutto di marasche, tanto da permettere alle famiglie di farsi del mosto e del vino, a cui seguì una generosa raccolta di biade, con un lungo bell'autunno, interrotto solo da una momentanea burrasca di neve al 20 di ottobre.

Fece clamore un grosso furto commesso da sconosciuti nella notte dal 15 al 16 marzo in una casa padronale di Rango di Bleggio, dove fu ferito il capofamiglia e spogliato di quanto aveva in casa in denaro e viveri. Fu diramato un ordine immediato in tutte le valli perché, con la gendarmeria, le singole comunità mandassero uomini armati a controllare le strade ed i passi. Dei ladri non si scoprì alcuna traccia, ma l'episodio non rimase isolato, con esso ricomparve il tristo fenomeno della fine del 1797.

Dal vicino Regno d'Italia numerosi giovani avevano raggiunto i paesi trentini pur di sfuggire al servizio militare, che in quel periodo ne avviava molti verso la Spagna, dove una generale insurrezione popolare stava impegnando la truppa d'occupazione francese in una feroce e sanguinosa guerriglia. Questi giovani immigrati, sprovvisti di tutto, cercavano un'occupazione presso singole famiglie, e non trovandola, si univano in gruppi e vivevano alla macchia, ricorrendo, per sopravvivere, anche ad atti di brigantaggio. Più volte nel corso dell'anno fu ordinato ai Sindaci di costituire picchetti di guardie armate per il controllo dei forestieri e per l'arresto delle persone sospette.

Poiché Napoleone aveva sempre più bisogno di soldati, il fenomeno delle diserzioni raggiunse proporzioni mai viste anche se la caccia ai disertori era implacabile. Se per caso venivano riacciuffati, il processo era sbrigativo e terminava con la condanna a morte. Spesso con un lugubre spettacolo, completamente rasati dei capelli, dei baffi e delle sopracciglia, alla presenza delle truppe e al rullo dei tamburi, venivano fucilati ai margini delle città; e questo per togliere ai soldati ogni voglia di diserzione.

 

1 8 0 9

 

Iniziò con burrascose giornate di neve e soprattutto con il presentimento che il 1809 per le popolazioni sarebbe stato un anno tristissimo di paurosi e tragici sconvolgimenti. Nello scacchiere europeo, le compagne di Napoleone contro le varie coalizioni s'erano conduse ancora vittoriosamente ma dopo battaglie sanguinosissime. Nella primavera del 1809 l'Austria, alleata dell'Inghilterra, si preparava ad una nuova guerra contro Napoleone che in quel momento era al vertice della sua potenza. Aveva creato un impero che si estendeva dalla Spagna alla Russia, obbligandolo però a mantenere truppe da per tutto con una frequente, vasta ed impopolare mobilitazione di soldati.

Il numero dei disertori del Regno d'Italia, che varcavano il confine e cercavano rifugio nelle valli trentine, aumentava di mese in mese. Le cronache dell'epoca, nel registrare nei primi mesi dell'anno il continuo passaggio di truppe italiane e napoletane verso il Nord, accennano ripetutamente a queste diserzioni. A Trento, a fine marzo, in un sol giorno, 17 giovanissimi soldati disertarono vendendo cavalli ed armi per aver un abito civile e qualche soldo.

La gente trentina accettava la loro presenza, li chiamava semplicemente “emigrati” senza emarginarli, memore delle relazioni di lavoro e di commercio tra il Tirolo meridionale e il Lombardo-Veneto da dove i più provenivano. Non si nascondeva, tuttavia, una certa inquietudine nel vedere che i1 numero di questi clandestini andava crescendo.

Verso la fine di febbraio l'autorità franco-bavarese cercò di aver ragione di questi emigrati con un improvviso colpo di mano. Pattuglie armate girarono all'improvviso per i villaggi e in particolare nelle osterie, sorprendendo qualche malcapitato che non aveva le carte in regola.

Le apprensioni crebbero quando i parroci delle Pievi furono sollecitati ad avvertire il popolo che il Re Massimiliano doveva, purtroppo, introdurre la coscrizione militare, limitata però ai giovani nubili dai 18 ai 25 anni, che non erano necessari all'agricoltura e all'artigianato. Grande fu lo stupore e lo sgomento tra le tranquille popolazioni tirolesi. All'udire queste comunicazioni, la reazione popolare scoppiò in dimostrazioni di protesta, e diversi parroci fu­rono per primi insultati e minacciati.

Per capire questa unanime ribellione, occorre ricordare che alla fine del secolo XVII gli eserciti erano formati nella quasi totalità da mercenari, gente considerata fallita e disperata sotto più aspetti, che per poco danaro vendeva se stessa. La vita militare era vista come una schiavitù e per questo il popolo tirolese nutriva un'atavica av­versione alle armi, guardava con antipatia all'esercito e considerava un'offesa la proposta di entrare in un servizio che, fra il resto,durava otto lunghi anni.

Lo spirito antimilitarista delle pacifiche e libere popolazioni trentine veniva espresso in quei giorni da una canzone conosciuta dalla gioventù d'ogni valle:

“Serrate ben Le porte

Che no entra pu nessun;

Serrate ben Le porte

che no entra el battaglion.

El battaglion l'è 'n Franza,

Con tutti iso' soldati ;

Noi siam deliberati

Da questa schiavitù.

E Milano è così bella,

E Venezia è isolata,

Tutti i va all'armata,

I Trentin no, e poi no!”

Era un modo anche questo per esprimere quel “nazionalismo, se così può dirsi, istintivo delle plebi dei paesi vassalli” che “trovò il proprio movente soprattutto nella reazione alla tassa del sangue, che la coscrizione e l'incessante guerreggiare napoleonico richiedeva ad esse” .

Non era mancanza di virtù militari, perché i giovani bersaglieri daranno prova di coraggio, di resistenza e abnegazione nella difesa della loro terra, ragione di vita e di libertà. Era il servizio che per i più non andava, quella brutta “naia” alle dipendenze di gente spesso ottusa e violenta.

Il governo bavarese, che non era all'oscuro dei preparativi di Casa d'Austria per una ripresa delle ostilità contro Napoleone, fu allarmato da queste reazioni ed intervenne con la forza in Val di Fiemme, ad Axam vicino ad Innsbruck, in Val di Non, per imporre l'osservanza della coscrizione. Da Brescia fu chiamato a Trento un contingente Francese di rinforzo, che sostò il 6 e 7 aprile in quel di Tione.

La leva militare fu imposta con il terrore, con scudisciate ai renitenti e con deportazioni, ma il governo ebbe poco da rallegrarsi con le reclute tirolesi, perché, dopo breve tempo, un terzo dei richiamati, e in qualche reparto anche la meta, disertarono e si nascosero con facilità sui loro monti.

Il malumore popolare, i risentimenti e l'insofferenza di vasti strati della popolazione erano al colmo: bastava una scintilla per far scoppiare la sommossa. Inoltre, specie nelle vallate altoatesine e del Noce, in Val di Fiemme e in Val di Cembra, gli animi erano eccitati da una propaganda segreta, assai bene organizzata da Vienna, che puntava su una insurrezione della massa popolare. Si moltiplicavano le voci che l'Austria avrebbe ripreso presto le armi contro la Francia, ed in realtà l' Arciduca Carlo, fratello dell'Imperatore e capo supremo dell'esercito, stava organizzando, da quattro anni, nelle terre tedesche un esercito di oltre 100.000 combattenti.

A metà aprile, dal “Regio Bavaro Giudizio Distrettuale di Tione” si fece pervenire ai Comuni delle Giudicarie un avviso che documenta il timore dell'autorità bavarese per una imminente violenta reazione popolare: “Si ode per forse vicina un'invasione degli austriaci e che della Truppa Francese possa ritirarsi per queste parti. Onde alleggerire a questi sudditi il peso e le conseguenze di siffatti movimenti, se dovessero aver luogo e per tener lontani possibilmente i disastri che sovrasterebbero queste popolazioni, si crede questo R. giudizio in obbligo di prescrivere in queste difficili circostanze alcune norme”, e con queste raccomandava di rispettare le truppe francesi che dovessero ritirarsi, di salvaguardare in simile occasione ad ogni costo “la buona condotta del popolo delle Giudicarie”, di non immischiarsi in atti di guerra e non turbare la quiete pubblica, per non rendersi responsabili e “meritevoli del più severo castigo”.

Nonostante questi ammonimenti, quando giunse notizia, ai primi di aprile, che un esercito austriaco era entrato dalla Carinzia in Val Pusteria, l'insurrezione popolare esplose e si estese rapidamente a tutte le valli del Tirolo Settentrionale e Meridionale. Le compagnie di bersaglieri si formarono dappertutto e marciarono rapidamente per affrontare il nemico e cacciarlo fuori dai confini.

A Trento il Conte di Welsperg pubblicò un ultimo drammatico appello ai popoli del Circolo dell'Adige: “Avvertimento ai Popoli del Circolo dell'Adige!

Trento ha veduto oggi avanti le sue mura sparger il sangue di due vittime del delirio: due contadini di Segonzano, condannati dal Consiglio di guerra ad esser fucilati, subirono oggi la morte dei ribelli ... State attenti all'inganno che vi tende il nemico. Siate sordi alla voce di seduzione. Restate tranquilli, non ascoltate le voci dei nemici del vostro Re. Voi siete sudditi del Re di Baviera e aiutando l'esercito austriaco divenite traditori e quindi punibili con la morte.

Regio Bavaro Commissario del Circolo dell'Adige

Trento, 17 aprile 1809.

Giov. N ep. Conte di Welsperg”

L'appello non trovò ascolto. La volontà di liberarsi dall'invasore conquistò rapidamente le classi popolari sia delle valli che delle città

Nelle Giudicarie un soffio di ribellione e liberazione parve ravvi­vare le comunità, che con prontezza e spirito di sacrificio formarono in tutta fretta i primi quadri. Vennero forzate le porte dei campanili per suonare le campane a distesa e salutare i primi combattenti di passaggio. Perfino nelle chiese si tornò immediatamente all'antica liturgia, a dir messa anche sugli altari laterali, a cantar vespro alla domenica. Si nutriva speranza che da Vienna arrivassero presto gli aiuti necessari di armi per le compagnie in formazione, e soprattutto di danaro; per il momento fu deciso dai Consigli di valle che nella prima settimana fossero le singole comunità a sostenere i propri com­battenti assegnando un fiorino al giorno.

Intanto l'esercito austriaco era giunto il 20 aprile fino a Lavis, dove ebbe luogo il primo sanguinoso scontro con i Francesi, che si estese dalla borgata fino alla riva destra dell'Adige. Tre giorni dopo entrava a Trento i1 Generale Fenner con la truppa ed una massa di 10.000 insorti, mentre il Generale Francese Baraguay d'Hilliers si ritirava con la sua divisione verso la Chiusa di Verona.

Quando una settimana dopo si constatò che tutto il Tirolo era libero da soldati stranieri, si decise di sospendere la mobilitazione dei bersaglieri e di rimandare le compagnie ai luoghi di provenienza.

Ma in maggio i Francesi con il Generale Rusca risalirono in forze preponderanti lungo la vallata del Chiese, e questa volta agirono con feroce brutalità conducendo via dai paesi le persone più influenti e fucilando all'istante chi veniva trovato in possesso di armi.

La gente, impaurita, si rifugiò nelle baite della montagna, e si trovò nell'impossibilità di continuare la raccolta della foglia dei gelsi per i bachi da seta che si dovettero poi buttar via. Con ciò se ne andava persa la prima modestissima indispensabile entrata dell'anno.

Per un po' il fronte si stabilizzò presso Lardaro: a Sud i Francesi, a Nord le compagnie dei bersaglieri. Nel frattempo, per un miglior coordinamento ed impiego delle compagnie di combattenti, fu costituita, a Croviana di Male in Val di Sole, una “Imperial Regia Direzione di Difesa” che faceva giungere in Val Giudicarie anche degli “stampini”, cioè dei bollettini di guerra con comunicazioni al popolo da parte del Comandante Supremo Andreas Hofer. Si voleva sostenere il popolo nella sua lotta informandolo di quanto avveniva altrove ed in particolare delle vittorie che ovunque si riportavano contro i Francesi. Dalla copia d'uno stampino, datato Male 4 giugno 1809, si può farsi un'idea di come si cercasse di incoraggiare gli animi alla resistenza e tener alto il morale degli insorti, segnalando “per comune notizia e consolazione” notizie anche particolareggiate ma non corrispondenti alla realtà degli avvenimenti.

“Si affretta ad annunziare al pubblico queste notizie pervenute per mezzo di corriere ai Signori Generali Comandanti e per mezzo del Signor Capitano Steiner Comandante della massa in Pusteria comunicate al Magistrato della città. Oggi, 17 maggio (1809) arrivò a S.M.S. l'Arciduca Giovanni un corriere spedito dal Quartier Generale di Sua A. Imper. l'Arciduca Generalissimo Carlo colle seguenti notizie: L'Imperator Napoleone ai 19 e 20 c.m. valicò coll'intera sua armata, alla quale aveva unite tutte le sue forze, il ramo maggiore del Danubio e occupò l'isola Loban ... S.A. Imperiale l'Arciduca Generalissimo stabilì sul fatto d'incontrarlo e di non impedirgli il suo passaggio per poi attaccarlo e farlo pentire della temeraria sua impresa. Tra i più lieti evviva, fra mille acclamazioni in evviva all'ottimo nostro Imperatore e con la vittoria scolpita nel cuore, Le nostre colonne andavano ad incontrare il nemico, che si avanzava ai 21 alle 12 di mezzo giorno per attaccarci, e la battaglia incominciò subito dopo le ore tre.

Napoleone stesso comandò quest' attacco, cercando di rompere i1 nostro centro con tutta la sua CavalIeria e questo Corpo era sostenuto da 6000 fanti, dalla sua guardia e da 100 e più pezzi d'artiglieria. Egli non potè rompere da nissuna parte. I nostri battaglioni formavano un sol Corpo e da tutte le parti respinsero la sua cavalleria. Intanto i nostri corazzieri rovesciavano quelli francesi e la nostra Cavalleria leggera portava morte ai fianchi dell'Armata francese.

II Combattimento era da giganti che appena si può descriverlo.

In seguito la battaglia si fece generale in tutta l'infanteria; più di 200 cannoni gareggiavano per la vicendevole distruzione. II villaggio Aspern fu per ben 10 volte perso e ripreso; quello di Eslingen cadde dopo replicati assalti. Erano le 11 di notte. I villaggi erano in fiamme e noi eravamo padroni del Campo di battaglia; i1 nemico era rinserrato fra l'isola Loban ed i1 Danubio alle spalle ...

La sua perdita fu immensa; il Campo di battaglia è coperto di cadaveri. Fin ora 6000 feriti, che erano sepolti sotto i morti, furono cavati e trovansi ne' nostri ospedali.

Non si può fare ancora un esatto dettaglio dei trofei di queste memorabili giornate, dacché i doveri della umanità esigono la cura doverosa del filantropico e magnanimo vincitore.

L'Imperatore Napoleone è in piena ritirata verso la riva opposta del Danubio, coprendo la ritirata coll'occupazione della gran Isola di Loben. Noi inseguiamo attualmente l'inimico.

Male, 7 giugno 1809.”

Copia di questo stampino pervenne a Stenico, Roncone, Riva e Rovereto. A togliere tuttavia ogni illusione per il momento, ricomparve a Sud di Trento un grosso reparto Francese che con quattro cannoni riprese a bombardare la città.

Il 26 giugno giunse nelle valli l'ordine del Gen. Carlo von Menz di preparare la sollevazione in massa e di catalogare in due giorni tutti gli uomini dai 16 ai 45 anni, nelle quattro categorie di leva, nubili e artigiani, ammogliati e professionisti.

L'ordine suscito in qualche comune del malcontento e più d'un console si rifiutò di compilare le liste. Tuttavia si provvide quasi da per tutto a formare le compagnie dei patrioti volontari, nelle quali ancora una volta trovarono facile accoglienza i fuorusciti del Regno d'ltalia.

Il peso di questa nuova mobilitazione si fece sentire assai oneroso nelle comunità, sollecitate ancora una volta 'a fornire le compagnie delle razioni di pane, carne e vino, dietro la semplice promessa di rimborso delle spese. E poiché i capitani erano alla disperata ricerca di danaro per pagare i combattenti, da più d'un Comune si dispose ufficialmente di assegnare loro i proventi delle imposte e delle decime. Intervenne anche il Comitato Militare, con sede a Lavis, sotto la presidenza del Dott. Dalle Mule, a raccomandare ai Sindaci di consegnare subito 200 Fiorini ad ogni Capitano, perché questi potesse in qualche modo “accontentare i suoi uomini”.

All'inizio di luglio giunsero da Trento altri tre proclami che parvero promettere tempi migliori. Il primo del 26 giugno, scritto in italiano e tedesco, comunicava la sospensione delle operazioni di guerra e l'ordine di licenziare nuovamente le compagnie. L'ordine era dato dal Comandante la Piazza di Trento, Colonnello conte Leiningen, ed era motivato da gravi ragioni.

Se durante le varie fasi della lotta contro i Francesi le compagnie dei bersaglieri erano a disposizione del comando militare e venivano da questo controllate, nei periodi di stasi non era facile tenerle tutte a disciplina. Qualche giovane che si era arruolato perché attratto dal facile guadagno, non aveva fretta di rientrare a casa, dove non c'era nulla da guadagnare. Per i cosiddetti “emigrati”, facenti parte di una compagnia, la situazione era ancora più difficile: se era neces­sario, questi per sopravvivere, ricorrevano semplicemente alla rapina.

L'intervento del Colonnello Leiningen fu preciso: “Considerando che la sfrenatezza e gli eccessi di quelle compagnie di bersaglieri che girano nei dintorni del lago di Garda e nelle Giudicarie hanno costretto perfino le oppresse comunità ad armarsi contro le medesime, per reprimere le prepotenze, le estorsioni e angherie di ogni genere, viene deciso e ordinato quanto segue:

1.     Tutte le compagnie italiane di bersaglieri vaganti nei dintorni del Garda e fin oltre Arco e nelle Giudicarie, e nominatamente le compagnie Meneghelli, Bertelli, Belluta, Collini, Cantonati, Chesi, Frizzi, ecc. vengono con la presente disciolte e i loro ufficiali sono personalmente responsabili di licenziare la gente sotto i loro ordini.

2.     I forestieri devono prendere servizio nelle I.R. truppe, o mantenersi, o abbandonare il Tirolo fra otto giorni.

3.     Dal giorno della pubblicazione della presente le comunità non sono più obbligate a prestare alcuna somministrazione alle suddette compagnie.

4.        Non solo le I. R. autorità ma ben anche le rappresentanze comunali invigileranno sull'esatta esecuzione del presente ordine.

Trento, 26 giugno 1809                                                         Cristiano conte di leiningen

Quasi dappertutto si ubbidì, anche perché i comuni non vollero più pagare. In qualche caso uno o l'altro dei capitani reagì a modo suo, facendosi forte di quella liberta d'azione sempre pretesa.

II secondo comunicato, del 28 giugno, specificava quali imposte del Governo bavarese erano abolite (l'imposta del bollo, la tassa vinaria, quella del macello, la steora personale detta testatico) ed invitava ogni comunità a segnalare al giudice distrettuale i1 nome del Comandante in caso di sollevazione in massa.

Verso la fine del mese arrivò un terzo “stampino”, datato Bressanone 27/VII, da parte dell'Intendente imperiale Barone de Hormayr e controfirmato dal Commissario di Trento, de Riccabona, recante l'avviso che l'Austria aveva concluso i1 12 luglio con Napoleone, a Znaim, un armistizio e che il Tirolo sarebbe stato evacuato dalle truppe austriache.

Ddlo stesso tenore era una comunicazione del Colonnello Leiningen, che confermava l'armistizio ed invitava i Tirolesi a stare quieti e tranquilli per i1 prossimo futuro.

Anche i Franco-Bavaresi, che in forza di questo armistizio tornavano ad essere i padroni del Tirolo, fecero circolare nelle valli nuovi avvisi, stampati a Milano e a Trento, per tranquillizzare Le popolazioni, promettendo che “noi siamo ancora Bavaresi”, ma che “pagheremo tributi assai più leggeri che sotto i1 Governo austriaco”. Si invitavano inoltre i bersaglieri “a deporre le loro armi presso i Regi Bavaresi Giudizi Distrettuali e a ritirarsi alle loro case”.

Questi “stampini”, firmati dal Gen. Caffarelli, comandante le truppe franco-italiane, furono spediti dal Giudice di Tione ai Parroci e Curati, con l'ordine “serio e pressante” di leggerli dal pulpito durante la messa, invitando poi tutti ad ubbidire. Qualcuno non ubbidì affatto. A Spiazzo, i1 Cap. Chesi si portò in Canonica e proibì al Cappellano di leggere in chiesa i due comunicati. Osserva I'Ongari: “Molte persone pensano, pur troppo che sia vero l'armistizio annunziato, e dicono, che il S.r Capitano Chesi fa male a tener in piedi la sua Compagnia (e che la pensa male anche il suddetto S.r Hoffer Comandante) e lo persuadono, e lo esortano istantaneamente a licenziare i suoi uomini, e depor le armi; ma egli persiste, e dice, che prima di depor le armi intende d'aver le sue paghe, e degli uomini”.

A Trento intanto, il 2 agosto, tornavano per la settima volta le truppe francesi, guidate dallo stesso Vicere Eugenio. Il loro arrivo in città fu quasi trionfale: dopo quelle caotiche settimane si riaccendeva il desiderio di vederla finita con la guerra e con quell'alternarsi di governi, di avere finalmente un periodo di ordine e di stabilità. Ma dove non poterono arrivare i franco-cisalpini, la resistenza continuò ancora, e dopo un momento d'incertezza, le compagnie tornarono a formarsi.

“All'undici Agosto - narra la cronaca del notaio Ongari - si divulgarono molte novità gradite: che in Val di Sole si rimettono ancora le compagnie, che le truppe tirolesi hanno sconfitto un gran corpo di Francesi... Ma la più bella nuova si è quella, che probabilmente si conchiuderà una pace onorevole e vantaggiosa per l'Austria e che senza dubbio il Tirolo resterà sotto l'Imperatore o almeno sotto qualche Principe di Casa d' Austria”.

Molti tuttavia erano consapevoli che la situazione stesse diventando disperata. Anche tra i patrioti combattenti, dopo 4 mesi di servizio, aumentava il numero di coloro che erano stanchi e depressi. II sostegno delle comunità era vicino alla paralisi ed il governo centrale appariva di fatto inesistente. Qualche Capitano che aveva contratto debiti per la sua compagnia, deluso ed esacerbato, se la prendeva perfino con sindaci e consoli della sua comunità, minacciandoli o magari arrestandoli se non levavano dalle casse ciò che serviva ai suoi uomini. Perdurava implacabile la necessità dell'avvicendamento ed i Sindaci a loro volta avevano un bel da fare a mettere in piedi nuove compagnie. Dovevano far opera di convincimento presso i riluttanti, accettare necessariamente domande di rifugiati senza sottoporle ad attento esame, mentre sempre più avvertivano che il giornaliero di circa 3 troni per ogni bersagliere costituiva un onere ormai insostenibile.

Lo smarrimento cresceva e il desiderio di veder finita questa lotta stava diventando il sentimento più comune della gente che riteneva Napoleone per il momento invincibile, e che di conseguenza percepiva l'inutilità di una ulteriore resistenza. Sopravviveva una segreta speranza che, se l'Austria non era stata in grado di battere l'Imperatore francese, c'era ancora una Nazione che Napoleone non era riuscito a vincere, la grande Russia. Ed uno stampino, con un proclama dello Czar russo, circolava nelle valli, e veniva letto e copiato con curiosità e interesse.

“Proclama di Alessandro Imperator delle Russie! Russi, piange l'Europa? L'Europa non piangerà: lo giuro al Cielo, ed avanti tutte le Nazioni; io giuro che sarà restituito a tutti ciò, che è di loro ragione. Nel prendermi questo assunto mi protesto di essere in pace con tutte Le Potenze del Mondo; ma sin da questo momento dichiaro la guerra a quella nazione, che vorrà persistere nei vari deliri d'una riscaldata fantasia, ed a questa porterò ferro, fuoco e scempio.

Lungi dunque ogni intrigo di Gabinetti; lungi la idea di conquiste; io ascolto la sola voce della giustizia, dell'umanità, e della ragione.

Se Alessandro il Grande si acquistò tanta gloria nel dilatare i confini del suo 1mpero con tante stragi, ed usurpazione, Io l'acquisterò maggiore procurando all'Europa tutta costante e solida pace. Alessandro.

Per i più tuttavia il manifesto dell'Imperatore russo era solo un'illusione. La realtà stava diventando sempre più dura per le popolazioni giudicariesi. Il commercio con le terre lombarde e veronesi, così importante per la loro vita, era nuovamente interrotto. “L'Italia, granaio solito per i1 Tirolo Meridionale, era chiusa e somma era la penuria in quelle stesse contrade”. I generi alimentari si facevano più rari e aumentava i1 prezzo. Una “soma” di farina gialla che all'inizio di settembre era pagata 40 troni, due settimane dopo costava 65 troni.

Con le difficoltà materiali crescevano la trepidazione e l'incertezza del domani. Il Comando militare, come pure l'amministrazione civile, erano disorientati. Da Bressanone, sede del Consiglio di guerra, arrivavano ordini e contr'ordini e dei capitani ubbidiva chi voleva. Andreas Hofer affidava la difesa del Paese ad un nuovo capo per la parte militare, al suo Luogotenente Eisenstecken, albergatore di Bolzano, mentre lasciava i1 potere amministrativo e politico nelle mani di Morandell da Caldaro. Fu una decisione infelice che ac­crebbe la confusione perché ben presto scoppiò la discordia fra i due.

Un grave contraccolpo subì inoltre i1 morale della gente quando si propagò la notizia che i1 Comandante Dal Ponte era stato arrestato e condotto incatenato ad Innsbruck per non si sa quali ragioni. Meno impressione fece la cattura di Sebastiano Garbini a Riva del Garda, perché molti lo ritenevano capace di tutto, anche di furto, ed inoltre lo consideravano un intruso.

II fronte interno stava ormai disintegrandosi. E quando truppe franco-italiane, agli ordini del Generale L. Peyri, entrarono dalla Chiusa di Verona, l'ordine dell'insurrezione in massa trovò i consigli comunali disorientati e riluttanti: mancavano di tutto, di armi e di viveri per nuove compagnie. Peyri raggiunse il 27 settembre Rovereto senza incontrare una seria resistenza e il 2 ottobre rioccupò Trento, facendosi largo a sciabolate e fucilando chiunque portasse un'arma o solo divisa. Voleva terrorizzare la cittadinanza e fare il vuoto davanti alle sue truppe, che si spinsero fino a Lavis. Provocò invece un'ondata di odio che si diffuse rapidamente nelle valli. Nei villaggi si suonò campane a stormo. Le compagnie accorsero numerose, convinte ancora una volta di poter respingere l'odiato Francese. Quelle della Valle di Sole si recarono al Tonale, quelle della Valle di Non scesero alla Rocchetta, quelle della Valle di Fiemme si unirono a Salomo e a San Michele con una massa di 10.000 insorti atesini, agli ordini di Josef Eisenstecken.

II 6 ottobre, questi si mosse con effettivi di oltre 15.000 combattenti, e attaccò vigorosamente Lavis e Gardolo obbligando il Gen. Peyri a ritirarsi entro le mura di Trento. In quest'azione ebbero parole di lode le compagnie della Valle di Fiemme per il loro co­raggioso comportamento. La città fu assediata e per privarla dell'ac­qua fu deviato da reparti nonesi il corso del Fersina.

Eisenstecken aveva difficoltà a tenere il comando “con quei ca­pitani invidiosi e senza testa”. Diverse compagnie, sistemate su per le alture di Martignano e Villazzano, pretendevano il cambio. Si doveva pertanto affrettare la presa di Trento. Un gruppo di com­pagnie giudicariesi era sceso nella Valle del Sarca e aveva occupato Dro e Riva, nell'intendimento di impedire la ritirata dei Francesi. II Capitano Chesi, con gli insorti della Rendena, aveva raggiunto Vezzano e Covelo, il Conte Spaur con quelle di Val di Non ricon­quistava Terlago, mentre il Capitano Scartezzini, con una compagnia fatta quasi tutta di “emigrati”, scendeva da Zambana lungo la sponda destra dell'Adige. I Francesi dovettero abbandonare il Buco di Vela e rientrare in città dal ponte di S. Lorenzo.

Ma al 10 di ottobre il Gen. Peyri, ottenuti due battaglioni di rinforzo, Uscì all'improvviso dalle porte e manovrando abilmente i reparti di cavalleria e d'artiglieria colse di sorpresa la massa degli insorti, che, disorientata, fu facilmente travolta ed in preda al panico riparò con una fuga disordinata sulle alture e sui monti. In serata il Peyri aveva rioccupato Lavis ed il Buco di Vela fino a Vezzano.

Le compagnie dei capitani giudicariesi Colini, Polini, Cantonati, Chesi, Campi, Stefenelli e Toffanetti, dopo alcune zuffe nelle zone di Terlago e di Vezzano, rientrarono nella naturale fortezza dei loro monti senza essere inseguite dai reparti francesi. Per qualche settimana queste valli vissero indisturbate in assoluta autonomia; e siccome la vita popolare aveva le sue esigenze, il sette ottobre, si tenne perfino la fiera di S. Giustina, non a Pieve di Bono, come di consueto, perché zona troppo vicina al confine e pertanto minacciata, ma a Prada di Preore “con grande concorso di gente e gran quantità di bestiame e bersaglieri; ma successero pochissimi contratti perché non vi erano forestieri”

Nel frattempo, il 5 novembre, le truppe francesi avevano raggiun­to Bolzano ed iniziavano una vasta azione di rastrellamento in tutte le valli. Napoleone aveva dato precise istruzioni al Vicere Eugenio per la definitiva repressione della rivolta. Resistere ora non aveva più senso, avrebbe esposto combattenti e popolazioni ad inutili sacrifici.

In uno scritto che il Viceré indirizzò personalmente ad Andreas Hofer, capo supremo dell'insurrezione, venivano promessi l'amnistia e il perdono di quanto era avvenuto se il Tirolo accettava di sotto­mettersi e gli insorti consegnavano le armi.

Andreas Hofer, ricevuta la lettera, invitava tre giorni dopo i tirolesi a deporre le armi, con le parole: “Fratelli! Noi non possiamo guerreggiare contro l'invincibile potenza di Napoleone” I più compresero che non c'era più nulla da fare anche se alcuni fanatici insistevano per la continuazione della lotta.

Nelle Valli Giudicariesi la situazione si mantenne assai instabile nelle ultime settimane di ottobre, con cauti movimenti di compagnie e di “gruppi di patrioti”. Costoro raggiunsero più volte Riva del Garda, favorita come porto da una continua attività commerciale, alla ricerca di mezzi di sussistenza.

A questo proposito il cronista di Riva, Fiorio, in data 1 novembre, annotava: “Si succede una compagnia di soldati all'altra e sempre con nuove e gravose pretese. Oltre a ciò la città  è infestata da briganti tedeschi e italiani che s'impongono con vessanti requisizioni. Anche famiglie private vengono prese di mira”. Ed in data 3 no­vembre aggiunge: “Stanchi finalmente di più a lungo sopportare le violenze e i mali trattamenti, si dovette risolversi di armarsi alla comune difesa. Ciò seguì colla maggior segretezza. I proprietari di campagne fecero persino venire i loro dipendenti in città. I nostri armati furono divisi in compagnie, furono nominati gli ufficiali ed il Signor Francesco Lutti riuscì il Comandante”.

Di fatto il comportamento di molti “patrioti” lasciava a deside­rare e inquietava le popolazioni. Operando come difensori della pa­tria, chiedevano “alla città, giurisdizioni e comunità di essere forniti del pane, vino, acquavite, e carne, dietro rilascio delle quittanze”. Ma ciò non era più facile a reperirsi. Sorsero così le prime forti reazioni, i primi atti ostili a queste pretese, specie quando la gente fu a conoscenza che la maggior parte dei capitani aveva licenziato le compagnie. I gruppi degli “emigrati” invece non si sciolsero, fecero uscite fino a Nago, Mori e Brentonico sotto la guida di persone pratiche dei luoghi, misero in fuga qualche picchetto Francese impossessandosi di quanto abbandonava. Più di una volta tuttavia tali uscite si trasformarono in scorrerie con furti e saccheggi.

II Commissario generale bavarese, Gabriele Widder, rientrato a Trento al seguito delle truppe francesi, fece allora affiggere nei villaggi il seguente proclama: “Le misure prese dalla città di Riva per assicurarsi dalle bande di orde armate e di assassini, riuscirono a piena soddisfazione a questo R.B. Commissariato Generale. Orsli, popoli fedeli, se mai qualche orda armata minacciasse di turbare la tranquillità, che una pace conchiusa vi ha ridonata... prendete coraggiosamente le armi e ponete in fuga quegli assassini. Spedite delle spie fidate che vi indichino i loro passi, disponete ai campanili guardie vigilanti che annunzino ogni pericolo ... Io sollecito frattanto il Comando Militare, perché spedisca della truppa regolata, ma finché questa giunge, tutto dipende da voi”.

Anche i centri più popolosi come Mori, Brentonico, Nago e Tor­bole crearono una specie di guardia civica o di guardia nazionale, per la sicurezza delle loro comunità.

II Commissario Widder non pote far seguire nulla di concreto al suo proclama, perché a Trento il Gen. Honore Vial, succeduto al Peyri, tenne ogni potere in mano, anzi incolpò il Widder ed il governo bavarese d'aver agito maldestramente nel Tirolo e d'esser stati la causa della sollevazione del popolo. Vial creò una ammini­strazione provvisoria, formata da uomini di prestigio come il Conte Manci, il Conte Crivelli, Giacomo Mosca ed il Capoconsole Luigi Lupis: un preavviso al Regno di Baviera che con ogni probabilità avrebbe dovuto rinunciare al suo XIV Dipartimento, Formato dalle città di Rovereto, Trento e Bolzano.

Con grande cura il Gen. Vial aveva atteso nella seconda metà di ottobre all'organizzazione di una forte divisione tra Trento e Lavis, con 14 battaglioni, due squadroni di cavalleria e 8 cannoni da campagna, in attesa dell'ordine di riprendere l'offensiva verso il Nord, il 14 ottobre, aveva rivolto un appello ai Tirolesi di lingua italiana, lodando il loro valore di combattenti, ma invitandoli a desistere da una lotta diventata folle. C'erano ancora numerose compagnie di bersaglieri attestate sulle colline di S. Michele e tra Mezzolombardo e Mezzocorona, che per il momento tenevano ferme le forze francesi sulle due sponde dell' Adige.

Lo scontro decisivo era atteso da un momento all'altro. Di fatto, alla fine di ottobre il Viceré diede l'ordine di occupare tutto il Tirolo, Nelle grandi e sanguinose battaglie svoltesi sul teatro europeo tra la Francia e le varie coalizioni, il Tirolo era restato fino allora un settore secondario, ma aveva infastidito anche troppo e la fama della sua resistenza aveva suscitato ammirazione per tutta I'Europa. Era giunta l'ora di farla finita, una volta per sempre.

Il Gen. Rusca entrò dalla Carnia in Val Pusteria con due divisioni, tre divisioni si mossero dalla Baviera con il Gen. Drouet, forti di 20.000 veterani. A Sud, il Gen. Vial mosse da Zambana, superò l'Adige a S. Michele e iniziò l'avanzata su Bolzano con una vasta operazione che sbloccò anzitutto l'alta Val di Cembra dalle compagnie di Fiemme e Fassa obbligandole a ritirarsi e poi a sciogliersi per non cadere prigioniere. Contemporaneamente inviò il Gen. Peyri da Caprile su per le valli dolomitiche con 1200 uomini per scendere da Val Gardena: questi arrivò il 5 novembre a Bolzano con 800 uomini, sfiniti dalle marce e dagli scontri con i valligiani.

Il fronte, da per tutto nel Tirolo, sotto l'urto di 56.000 franco-bavaresi, non resse e si frantumò rapidamente. In data 6 novembre, il Gen. Vial, dal suo quartiere di Egna, scriveva al Colonnello Gavotti, fermato a Trento quale comandante delle truppe del circondario: “ Voi sentirete con piacere, Signor Colonnello, che siamo padroni di Bolzano. La colonna del Maggiore Baugault ha passato strade orribili circondando la posizione di Bedol. 9 o 10 uomini sono caduti dai precipizi e sono rimasti morti o gravemente feriti. La costernazione nel paese è generale, dappertutto gli insorti si sottomettono e ci consegnano le armi”

In una seconda lettera al Col. Gavotti, dal quartier generale di Bolzano, lo stesso generale comunicava in data 12 novembre:

“Signor Colonnello. Con una mia lettera del 6 vi avevo annunziato che noi ci siamo impadroniti di Bolzano. Ora gli abitanti rientrano nelle loro case e ci mostrano della confidenza.

Voi mi notificate che il nominato Datponte e il Conte Spaur sono venuti a fare presso di Voi degli atti di sommissione. Due altri capi, Eisenstecken e Hofer medesimo, così detto Barbon, hanno ricercato di parlarmi.

Gli abitanti della destra dell'Adige inviano deputazioni per la sommissione, ma non consegnano le armi che dicono loro necessarie contro i briganti ... Io farò un movimento retrogado per purgare con colonne mobili le Valli di Non e di Sole fino al Tonale, quella Rendena, Le Giudicarie e Le rive inferiori del Sarca ... I briganti possono ascendere a qualche centinaio e sono disertori e assassini forestieri che non osano sperare perdono”.

In Val Giudicarie, già il 7 novembre, ci fu a Tione Consiglio Generale delle Sette Pievi ed agli 8 il Consiglio di Valle “per deliberare se si vuol resistere e guerreggiare oppure sottomettersi spontaneamente al Comando francese ed implorare da lui clemenza. Ma la conclusione fu che, essendovi tuttora fona armata, il paese non poteva deliberare”.

Erano le compagnie dei Capitani Scartezzini, Colombo, Santoni, distribuite in più villaggi, da Stenico, a Tione, fino a Pinzolo. Lo Scartezzini decise di smobilitare e il 9 novembre si recò a Trento, presentandosi al Colonnello Gavotti con l'offena di mettere a sua disposizione la compagnia da lui diretta: gli si ordinò di deporre le armi e di tornare a casa. Anche gli altri Comandanti locali, il Maggiore Cantonati, i Capitani Polini e Colini Slosser dopo diversi contrasti con i gruppi degli “emigrati” - contro costoro avevano posto verso la metà di novembre, per tre giorni, dei picchetti a Ragoli, Zuclo e Tione, a difesa delle popolazioni - decisero di sciogliere le compagnie e lasciare che i combattenti tornassero alle loro famiglie, per usufruire dell'amnistia. Non smobilitarono invece i gruppi degli “emigrati”: questi temevan ritorsioni e processi sommari e poi speravano anche nel tramonto della stella napoleonica.

Contro di loro, i1 16 novembre, arrivo a Spiazzo una colonna di 250 soldati francesi. I bersaglieri presenti ripararono in fretta nei masi e nei fienili della montagna. La colonna si spinse fino a Bocenago, ma quando dal monte soprastante rintronò il primo colpo di fucile si fermò e poi i1 tamburo suonò la ritirata. Rientrata a Spiazzo, gli Ufficiali convocarono il Sindaco e i Consoli, ordinando loro “di restare quieti e far sì che tutti depongano le armi”. Poi la truppa ripartì per Tione.

Tornarono allora a valle le compagnie Colombo e Santoni. Un gruppo ottenne da mangiare per un paio di giorni in quel di Spiazzo, rilasciando alle famiglie delle “quittanze” per i1 servizio ottenuto; poi anch'esso s'incamminò per Tione. Alcuni uomini del Santoni, affamati, commisero nei giorni seguenti ruberie nelle abitazioni più signorili della zona, imposero taglie minacciando i proprietari delle case.

A Riva del Garda la deputazione di difesa, ricevuta notizia che 150 “briganti” taglieggiavano Tione, avvertì la Commissione bavarese di Mori. Questa fece intervenire il battaglione del Maggiore Carrara che aveva combattuto in Calabria contro i “briganti” e che pertanto era ben allenato per la repressione violenta. 450 di questi soldati, attraverso il Durone e da Stenico, arrivarono a Preore e a Zuclo inaspettatamente quando non era ancora giorno e circondarono la borgata di Tione. Nevicava forte e la neve era alta una gamba. Gli uomini delle compagnie Colombo-Santoni furono sorpresi nelle abitazioni, quattro caddero combattendo e tra questi il Capitano Colombo; i più si diedero alla fuga verso la Val Rendena; 40 furono catturati e di questi 21, dopo un sommario processo, furono fucilati il 28 novembre lungo il torrente Arno: tra essi c'erano il Capitano Santoni, il suo Tenente, il chirurgo, vari sergenti e caporali. I loro nomi, con altri sorpresi e fucilati nella alta Val Rendena, furono segnalati in una nota che qui si riporta, esposta all'albo pubblico delle comunità delle valli, all'evidente scopo di togliere ogni velleità di resistenza ai gruppi superstiti e nascosti e per intimidire le popolazioni perché, pena la fucilazione, non fornissero loro ne aiuto, ne quartiere.

“Nota dei Briganti presi colle armi alla mano nelle Giudicarie ... i quali sono stati fucilati:

Giovanni Santoni, anni 46, Nativo d'Arco, Paesano - Mercante - Capo della Compagnia detta Santoni; Battista Gidotti, anni 42, Tremosine, Paesano - Carbonajo - Comp. Santoni; Nicola Bonfanti, anni 19, Avio, Paesano - Marangone . Comp. Santoni; Antonio Mamani, anni 22, Stenico, Disertore Tirolese - Villico - Cacciatori Tirolesi - Comp. Santoni; Martino Cosimi, anni 29, Polacco, Disertore Polacco - Musicante . Polacco - Comp. Santoni; Pietro Tomaseli, anni 22, Ala, Paesano - Boschajo - Compo Santoni; Giovanni Androni, anni 21, Bergamo, Disertore - Molinajo - 7. Regg. Italiano - Compo Santoni; Giuseppe Delfabro, anni 25, Verona, Disertore - Tira Oro - 4. Regg. Italiano - Compo Santoni; Francesco Rizzi, anni 22, Calcinato, Disertore - Villico - 7. Regg. Italiano - Comp. Santoni; Luigi Sarzani, anni 25, Calmasino, Disertore - Villico - 1. Regg. Italiano - Compo Santoni; Domenico Ferretti, anni 20, Castelmano, Paesano - Ortolano - Comp. Santoni; Isidoro Rigotti, anni 37, Ranz, Paesano - Villico - Compo Santoni; Giuseppe Fagioni, anni 20, Vicenza, Paesano - Calzolajo - Compo Santoni; Gio. Batta. Raggi, anni 20, Genova, Disertore - Villico ­57. Regg. Francese - Comp. Santoni; Gio. Batta. Maistrelli, anni 21, Piacenza, Disertore - Villico - Regg. non si sa - Compo Santoni.

Gio. Batta. Ferrari, anni 24, Borgo di Mori - Disertore - Villico - 5. Regg. Italiano - Compo Santoni; Giovanni Scapione, anni 19, Cologna, Paesano - Sbianchesino - Compo Santoni; Giuseppe Parone, anni 22, Gesuan, Disertore - Villico - 4. Regg. Italiano ­Compo Santoni; Battista Benvenuti, anni 26, Roveredo, Paesano ­Villico - Compo Santoni; Ercole Gori, anni 22, Mantova, Disertore - Calzolajo - Del Treno Italiano - Comp. Santoni; Gio. Batta. Rigotti, anni 41, N ago, Paesano - Scrittore - Compo Santoni; Giacomo Gritti, anni 20, Salo, Disertore - Carretiere - 3. Leggiero Italiano - Comp. Santoni; Benigno Rizzotti, anni 25, Malcesine, Disertore - Villico - 3. Leggiero Italiano - Comp. Santoni; Vincenzo Mazardi, anni 28, Malcesine, Paesano . Villico - Compo Santoni; Stefano P armegiano, anni 19, Genova, Disertore - Villico - 103. Regg. Francese - Compo Santoni; Saverio Colombi, anni 30, Rimini, Disertore - Villico - 3. Regg. di Linea - Comp. Santoni; Giovanni Stofelli, anni 28, Val di Ledro, Paesano - Villico - Compo Santoni; Domenico Martini, anni 20, Verona, Disertore - Villico - 7. Rcgg. Italiano - Compo Santoni; Giovanni Ary, anni 23, Languedoch, Disertore - Villico - 13. Regg. Francese - Compo Santoni; Bartolameo Arm ani, anni 24, Sevola, Paesano, Villico - Compo Santoni.

Angelo Armani, anni 21, Sevola, Paesano - Villico - Compo Santoni; Cristoforo Graziadei, anni 19, Calavino, Paesano - Villico - Compo Santoni; Pietro Moro, anni 32, Breton, Disertore - Villico - 67. Regg. Francese - Comp. Santoni; Gio. Antonio Pipino, anni 35, Lavezo, Bavaro - Villico - Reggim. Bavaro - Comp. Santoni; Francesco Pduzzi, anni 25, Magnone, Disertore - Villico - 7. Regg. Italiano - Compo Santoni; Giovanni Marchdetti, anni 25, Verona, Emigrato- Villico - Compo Santoni; Luigi Grasseloni, anni 36, Pavia, Disertore - Villico - 3. Leggiero Italiano - Comp. Santoni; Benedetto Bortella, anni 20, Genova, Disertore - Villico - 34. Regg. Francese - Comp. Santoni; Giovanni Valentinotto, anni 21, Levico, Paesano - Villico - 34. Regg. Francese - Compo Santoni; Battista Confratelli, anni 24, Bormio, Paesano - Villico - Compo Sar.toni; Antonio Bernardini, anni 22, Fanzola, Paesano - Villico - Compo Santoni; Pietro Zaniboni, anni 29, Bogliacco - Villico - Compo Santoni; Leonardo Ferrari, anni 27, Borghetto, Paesano - Calzolajo - Comp. Santoni; Giuseppe Lena, anni 23, Sorosina, Disertore ­Villico - 2. Leggiero Italiano - Comp. Santoni.  Francesco Rossi, anni 21, Corte Medana, Disertore - Villico - 2. Leggiero Italiano - Compo Santoni; Stefano Buselli, anni 23, Mantova, Disertore - Villico - Tedesco - Compo Santoni; Bortolo - Comp. Santoni; Giuseppe Totj, anni 25, Regio. Disertore - Villico - Comp. Santoni; Giuseppe Torj, anni 25, Regio, Disertore - Villico - 3. Regg. Italiano - Comp. Santoni; Giovanni Mazuchelli, anni 27, Daifo, Disertore - Villico - 4. Regg. Italiano - Compo Tonini; ... Calombo*, anni 22, Italiano - Capo della Comp. Colombo; Nicolo Brugnara, anni 20, Verla, Paesano - Villico.

* Non si è potuto sapere ne la Patria ne il Nome. Tione li 28 Novembre 1809. Carrara Capitano”.

Questa nota è un documento che si può leggere in diversi modi.

Un lettore frettoloso potrebbe accettare e giustificare la sentenza del comando militare francese come una necessaria azione di guerra contro dei criminali che avevano ignorato volutamente l'offerta d'amnistia. Un lettore più attento scopre anzitutto la totale assenza di bersaglieri locali; segno che questi avevano abbandonato le due compagnie e si erano ritirati nei loro paesi. I pochi tirolesi indicati dalla nota, 14 su 52, perché il Capitano Colombo era di Rovereto, provenivano da zone dove “era stato instaurato l'ordine francese” e da dove si tenevano lontani per timor di rappresaglie.

Salta all'occhio che la maggior parte dei fucilati erano dei disertori dell'esercito franco-bavarese, 38 su 52. C'era tra loro qualche delinquente? Forse si, ma i più erano indubbiamente infelici e sfortunati giovani che avevano cercato una salvezza nella libertà della terra tirolese, per non finire in uno degli innumerevoli cimiteri europei, voluti dall'insaziabile ambizione di Napoleone.

Gli storiografi, che riportano questa nota, discordano sulle modalità dell'eccidio. Il Te1ani parla semplicemente di 52, il Riccobelli di Brescia parla di 40 e racconta che “il Capitano Carrara finse di farli incamminare verso Riva onde essere assoggettati ad un interrogatorio; ma appena giunti fuori del paese, senza avvertirli, furono nel più barbaro modo fatti passare per le armi”. Domenico Boni di Tione, in un suo manoscritto del 1896, parla di “60 fucilati al crepuscolo del 26 novembre divisi in tre drappelli. Le loro salme restarono esposte tre giorni al ponte del torrente Arno”. Il Boni, che afferma di avere raccolto i dati da testimoni oculari, riporta il testo di due epigrafi, poste in seguito l'una sulla facciata d'una casa di Brevine e l' altra sul Ponte dell'Arno:

“Per giudizio stataro

Carrara

Capitano Francese

condannava a morte

sessanta insorti.

Ragion di Stato

ebbe qui giustizia

26 novo 1809”.

Di epoca successiva la seconda, meno giacobina e piu umana:

“Esposte a terrore

tre giorni lungo la via

le salme dei fucilati da' francesi

ebbero qui presso

inonorata sepoltura

29 nov. 1809”.

Nei registri dell'Archivio parrocchiale di Tione non si trova nessuna indicazione di questo massacro. Come al solito, il Comando Francese faceva scomparire i morti o in un rogo o in una fossa comune.

Probabilmente va accettato come documento veritiero sull'eccidio il testo di una lettera dello stesso Capitano Carrara, riportato dal Prof. Pilati Silvino: “La mia spedizione ha avuto buon esito. Vent'uno arrestati, quattro morti e molte armi prese. Si continua ogni giorno con gli arresti e si spera che in brevissimo tempo saranno distrutti”.

Nei giorni di fine novembre e all'inizio di dicembre, truppe francesi partite da Stenico arrivarono a Tione e risalirono la Valle Rendena, sotto la pioggia e la neve, fino a Mavignola, sorprendendo colà un gruppo di disertori. Ma questi erano all'erta e reagirono a fucilate colpendo un Francese ed obbligando gli altri a ritirarsi. Il 29 novembre una terza colonna Francese raggiunse notte tempo nuovamente Mavignola e poi Campiglio; solo che i bersaglieri se la svignarono rifugiandosi nella Foresta. Altre due compagnie francesi, provenienti dalla Valle del Chiese, giunsero all'improvviso ai primi di dicembre e sorpresero 5 disertori a Carisolo e li fucilarono subito dopo a Pinzolo. Qualche disertore si salvò nella Valle di Genova e circa 60 fuggirono attraverso la Foresta verso Campiglio e la Valle di Sole. La caccia agli insorti continuò ancora per alcune settimane.

Due “emigrati”, che erano stati sorpresi a Cavrasto, furono fucilati il 18 dicembre a Mortaso perché, avendo fatto parte delle Compagnie Chesi e Santoni, non avevano deposto le armi entro il termine di cinque giorni decretato dal proclama del Viceré Eugenio Napoleone.

I loro nomi restarono nella memoria della gente, ebbero il funerale nella chiesa di Spiazzo e furono seppelliti nel cimitero della comunità.

Uno si chiamava Marco Aurelio Majoli delIa Valtellina ed era Sergente della disciolta compagnia Chesi, l'altro, di nome Felice Zomedi, era di Romagnano.

II “saltaro”, cioé la guardia campestre, ebbe l'ordine di avvertire ogni famiglia dell'obbligo grave di segnalare la presenza di qualsiasi forestiero. Anzi, per togliere ogni punto d'appoggio agli scampati sui monti, un imperioso comando dell' autorità militare Francese obbligò i contadini che avevano bestie nei casolari di montagna a ricondurle in paese. Si minacciava la fucilazione a chiunque desse alloggio o viveri a “bersaglieri emigrati”.

Da Tione, dove s'era istallato un nuovo Comandante Superiore Francese per tutte Le Giudicarie, di nome Mouton, furono sollecitati i parroci ad avvertire le comunità dai pulpiti, nel giorno dell'Epifania, 6 gennaio, dell'obbligo di consegnare ogni arma, pena la fucilazione e l'incendio delle abitazioni, se poi in una perquisizione veniva trovato uno schioppo o una pistola, una sciabola o un coltello militare. Fu assicurato invece il pieno perdono a chi recapitava in comune queste armi.

La minaccia ebbe effetto e in tutte le ville vennero consegnate molte armi. Ma pur nell' amnistia proclamata, le personalità di maggior spicco, come i Capitani delle compagnie, non ebbero vita facile, vissero brutti momenti, perché in parte vennero arrestati e sottoposti a processo ed anche deportati, e parte, temendo rappresaglie, ripararono sui monti o in altre valli. Furono insistentemente ricercati da pattuglie francesi, perché nella quasi totalità la gente li aiutava nella latitanza, soprattutto avvertendoli quand'erano in pericolo.

Non vi fu più alcun atto di resistenza. Dalla presenza dei presidi militari franco-italici la tranquillità era assicurata anche nel Marchesato delle Giudicarie, in quella roccaforte dove più a lungo che altrove era durata l'opposizione all'invasore.

In febbraio il Gen. Francese Baraguay d'Hilliers, che era ora il Comandante generale delle truppe francesi e italiane stanziate nel Tirolo, con sede a Bolzano, e che aveva diretto Le operazioni per la cattura di Andreas Hofer, avvenuta in un fienile sulla montagna di San Martino in Val Passiria il 27 gennaio 1810, emanò un lungo decreto, che fu letto in tutte le chiese, col quale si proibiva la caccia, il tiro al bersaglio, si obbligavano armaioli e bottegai a non vendere più armi ne polvere da sparo se non a determinate condizioni, e si imponeva ad ogni Sindaco di denunciare al comando più vicino la presenza di qualsiasi forestiero, e di distribuire ad ogni abitante maschio, che abbia compiuto 16 anni, la prescritta Carta di Sicurezza, cioè una carta d'identità firmata dal Parroco e dal Sindaco.

Fu richiesto inoltre che ogni Comune segnalasse al Comando francese, in apposite tabelle, tutte le spese sostenute durante il periodo della rivoluzione dall'aprile 1809 al febbraio 1810, per aver somministrato razioni di viveri, quartieri e giornate di lavoro ai bersaglieri, alle truppe austriache e agli stessi francesi. I dati raccolti a Tione assommarono ad una spesa di oltre 100.000 fiorini solamente per la Val Rendena.

II 18 febbraio, domenica di Settuagesima, fu reso noto un comunicato dell'Imperatore Napoleone Bonaparte, che accordava ancora una volta il perdono “ai disertori, coscritti, refrattari italiani” anche antecedenti al 1806, purché tornassero ai loro reggimenti. L'esercito francese, accampato per mezza Europa, aveva un continuo, estremo bisogno di soldati.

Intanto Le vallate giudicariesi erano nella quiete, l'ordine regnava in ogni paesello perché picchetti franco-italiani presidiavano i capoluoghi di valle. Ci fu un tentativo di ritorno del governo bavarese, ma il Generale Vial aveva ricevuto da Parigi altri ordini: la capitale del Tirolo Meridionale non sarebbe stata più Monaco di Baviera, bensì Milano. Per il momento, ogni potere restava nelle sue mani.

In gennaio nevicò moltissimo, in montagna ed in valle. I tetti scricchiolavano nonostante che i portanti - come si usa fare anche oggidi - fossero stati rinforzati al massimo; e anche di notte bisognò buttar giù neve per scaricarli dal peso. Ciò nonostante, qualche tetto cedette nei paesi con disagio enorme dei proprietari.

In febbraio continuò il passaggio di truppe franco-italiane e di gruppi di ex-prigionieri liberati in forza del trattato di pace. Questi ultimi erano poverissimi, laceri, con i piedi avvolti da pezze di sacco e si fermavano a chiedere un boccone ed un posto nella stalla per la notte.

A Trento, il Commissario Governativo provvisorio Sigismondo de Moll, nominato dall' autorità militare francese, operava con saggezza facendo tutto il possibile per pacificare la regione. Era un esperto amministratore e profondo conoscitore del paese e dell'indole degli abitanti e propendeva per un'azione di attesa e d'indulgenza verso i capi delle compagnie, per non turbare nuovamente la quiete del paese.

A Spiazzo, il Capitano Giuseppe Chesi fu arrestato di notte, il 22 gennaio, e condotto a Rovereto e poi nelle carceri di Mantova. Il 27 gennaio, su delazione di un commilitone, veniva pure arrestato Andreas Hofer “Capo principale degli Insorgenti Tirolesi” e poi tradotto a Mantova, dove fu fucilato il 20 febbraio. Precedentemen­te, nel processo, gli riuscì di scagionare il Capitano de Campi e salvarlo così dalla morte.

Col febbraio riprese a funzionare la scuola elementare, ed anche la vita delle comunità ricevette nuove disposizioni, pubblicate sempre in chiesa, per una regolare ripresa. Di quando in quando venivano rese note dal comando militare le condanne a morte per chi non aveva ubbidito agli ordini.

La stagione primaverile non fu buona. Piogge continue durante il mese di maggio, fino a metà giugno, con forti cadute di neve in montagna e brinate in valle parvero compromettere l'annata.

All'inizio di giugno fu promulgata l'ordinanza imperiale di Napoleone, Imperatore dei Francesi e Re d'Italia, con la quale si decretava:

“II Tirolo Meridionale... è definitivamente unito al Regno d'Italia; ... si chiamerà Dipartimento dell'Alto Adige e avrà come capoluogo Trento”.

Avevano fine così l'incertezza e l'attesa di quei primi mesi. La gente riprese con nuova fiducia a riparare ed a rifare quanto era stato danneggiato e distrutto. Furono sciolte le amministrazioni militari, i comuni con le nomine dei nuovi podestà ripresero a funzionare, gli organismi centrali dell'amministrazione pubblica cominciarono ad operare con maggior giustizia abolendo abusi e favorendo un clima di rispetto verso il singolo cittadino.

L'unione con il Lombardo-Veneto favorì il lavoro dei commer­cianti e degli artigiani. L'abolizione dei pedaggi e dei dazi incrementò nelle valli l'agricoltura, l'allevamento del bestiame e dei bachi da seta. Fu intensificata ogni coltura, compresa quella della patata. La gente della montagna riprese con lena il suo accanito lavoro con la bonifica di zone boscose e con la costruzione di murature sui pendii, per trattenere la terra e assicurare maggior fertilità alle piante.

Lentamente si stava risalendo, quando “il 23 giugno arrivarono alla canonica molti avvisi in istampa, col decreto di S. Maesta Napoleone che accorda nuovamente il perdono ai disertori e ai coscritti refrattari che sono fuggiti prima del 1806, purché ritornino e si presentino avanti il 25 del prossimo luglio. Si cominciò a sussurrare che possa essere imminente la coscrizione. Da tutte le parti correvano a Tione giovani e putte per avere il permesso di maritarsi ... ma a quelli dell'eta di 19- 20 e 21 anni, ai nati nel 1789-90 e 91 fu negata la licenza”. Purtroppo ciò che si paventava divenne triste realtà: qualche settimana dopo giunse l'ordine della coscrizione. “ ... Si fece la leva militare dei nati nel 1786-87-88 e 1789. Fu tenuta a Riva del Garda con estremo disagio dei coscritti e degli assistenti (consoli, di solito N.d.A.) rinchiusi in chiesa per ben dodici ore e senza poter uscire ne per mangiare ne per bisogni naturali”.

Non era ancora la fine delle tribolazioni: per il momento le più angosciose erano ristrette alle famiglie dei richiamati nell'esercito del Regno d'Italia.