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    Nella sentenza di morte trilingue emessa dal 
tribunale militare francese che lo aveva processato in Palazzo d'Arco si trova 
una precisa descrizione dei connotati del patriota tirolese:  
 
"Andrea Hofer, detto Barbon, dell'età di anni 44 circa, nato a Passeyere nel 
Tirolo, già oste, capo principale degli insorgenti tirolesi, di statura di 5 
piedi e 8 pollici, di faccia ovale, rosa ce a e bitorzoluta, di fronte, d'occhi, 
capegli e sopracigli neri e mento a lunga barba nera"   
 
   In base alle misure francesi dell'epoca, che erano ancora in uso 
anche dopo l'introduzione del sistema metrico decimale, la statura di Hofer 
doveva essere di oltre un metro e ottanta e quindi molto superiore alla statura 
media del tempo, questa caratteristica unita a una corporatura robusta e alla 
folta barba nera ne facevano già un personaggio fra i suoi compatrioti sui quali 
egli esercitava un forte ascendente. Oltre alla prestanza fisica Hofer possedeva 
le naturali qualità del capo, si esprimeva con un'eloquenza semplice ed efficace 
di stampo popolare e aveva un carattere forte e schietto non alieno tuttavia da 
una certa caparbietà e da qualche venatura di fanatismo che si manifestò nelle 
situazioni critiche legate alle fasi finali dell'insurrezione come appare in 
alcuni ordini e lettere di quest'ultimo periodo. La sua profonda e intima 
adesione all'identità tirolese egli la manifestò sempre anche nel proprio 
abbigliamento. Anche all'apice della sua gloria quando s'insediò nell'Hofburg di 
Innsbruck quale governatore e reggente del Tirolo oltre che come comandante 
generale degli "Schützen", continuò a vestire il costume tradizionale degli 
abitanti della Val Passiria, con la sola variante di una giacca verde indossata 
sopra un camiciotto rosso. Intorno alla vita portava una larga cintura di cuoio 
con le sue iniziali ricamate e portava calzoni di cuoio nero allacciati sotto il 
ginocchio e un paio di stivali. In testa aveva sempre un gran cappello nero a 
larghe tese con un bordo rivoltato sul quale aveva appuntato un'immagine della 
Madonna. Quale unico segno di distinzione per la sua carica di comandante 
generale portava al fianco una sciabola, un dono del feldmaresciallo Chasteler 
all'inizio della campagna militare nell'aprile del 1809.  
   La sua profonda e autentica religiosità, la vita laboriosa e onesta 
che conduceva con la moglie Anna Ladurner con la quale si era sposato in giovane 
età e dalla quale aveva avuto sette figli di cui un maschio e sei femmine, lo 
facevano oggetto di grande stima. Pur non avendo la stoffa dell'uomo politico o 
del capo di stato e nemmeno una grande conoscenza dell'arte militare egli seppe 
diventare in poco tempo un capo unanimemente riconosciuto e la personificazione 
stessa del carattere e delle virtù del popolo tirolese. D'altro canto come 
osservò il Paulin nel suo saggio monografico:  
 
"Presso i contadini tirolesi solo uno del loro gruppo, com'era Andreas Hofer, 
poteva ottenere la loro .fiducia, stima e ubbidienza. Egli stesso figlio della 
vigorosa stirpe della Passiria, cresciuto in mezzo alla sua gente, Hofer 
conosceva profondamente il carattere dei suoi Tirolesi, sapeva trattarli, 
sentiva e parlava come loro e ne condivideva l'attaccamento alla patria, la fede 
religiosa e ai costumi tradizionali e anche alla casa regnante con l'ostinata 
fedeltà delle persone semplici".  
 
   Hofer non era culturalmente uno sprovveduto, aveva frequentato le 
scuole elementari istituite dall'imperatrice Maria Teresa e aveva arricchito le 
proprie conoscenze grazie a frequenti viaggi e soggiorni nelle valli del Tirolo 
e del Trentino dove aveva integrato la sua professione di oste con quella di 
commerciante di cavalli e di vini stringendo in tal modo numerose relazioni di 
amicizia e imparando anche l'italiano, che egli parlò sempre tuttavia con forte 
accento tedesco, una conoscenza che gli fu utile per la propria attività 
commerciale ma anche durante la prima fase della rivolta che coinvolse anche le 
popolazioni trentine.  
   La modestia della sua cultura, pur sostenuta da doti di buon senso 
e da una sicura capacità di giudizio non poteva pur tuttavia essere sufficiente 
per il complesso e difficile compito di governatore di un'intera regione.  
   Hofer fu sempre sinceramente devoto ed ebbe nei confronti degli 
ecclesiastici un atteggiamento di rispetto e deferenza ma ciò non gli impedì di 
mantenere con loro una certa indipendenza se si eccettua l'influenza che ebbe su 
di lui il frate cappuccino J. Haspinger, uno dei più accesi e fanatici capi 
della rivolta, che, facendo appello alla sua coscienza, riuscì dopo molta 
insistenza a indurre un Hofer, ormai esitante e disposto alla resa a dare 
nuovamente il segnale della rivolta nel novembre del 1809.  
   Nella sua mente semplice e lineare egli fu sempre convinto della 
giustezza della propria causa ma le sconfitte, l'abbandono dei suoi compagni di 
lotta e soprattutto la consapevolezza di essere stato lasciato solo al suo 
destino dall'Imperatore d'Austria, sul cui sostegno egli aveva sperato fino 
all'ultimo, lo gettarono in un grave stato di prostrazione e di sconforto come 
testimoniano le parole da lui scritte nell'ultima lettera inviata all'arciduca 
Giovanni dal suo rifugio tra i monti dove, confessando tutta la sua intima 
sofferenza per gli eccidi e le distruzioni arrecati dalla guerra al suo amato 
paese, si firma come:  
 
"Il povero e abbandonato peccatore Andreas Hofer".  
 
   Le sofferenze interiori e l'amara constatazione del fallimento 
della sua impresa non lo gettarono nella disperazione ma grazie alla sua natura 
forte, generosa egli prese lealmente su di sé tutto il peso della responsabilità 
per la conduzione militare dell'insurrezione e seppe affrontare la morte sugli 
spalti di Cittadella con serenità e coraggio accettandola come espiazione per le 
proprie colpe e liberazione da tutti i dubbi e i tormenti della propria 
coscienza quale testimonianza della sua fede cristiana e di amore per la sua 
gente.   |